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sabato 27 febbraio 2010

Salute: le misure di "lui" si accorciano. Micropene a causa di obesita' e inquinamento


ROMA - Gli uomini del futuro avranno un pene micro? L'allarme sulla virilita' degli uomini italiani viene lanciato dagli specialisti riuniti a covegno a Padova sul tema "Medicina e sessualita'". La colpa, dicono gli studiosi, sarebbe dell'obesita' e dell'inquinamento. Secondo la ricerca condotta dal Centro di crioconservazione dei gameti maschili dell'Azienda Ospedaliera Universita' di Padova su 2.123 ragazzi di 18 anni delle scuole superiori di Padova e provincia. E' risultato che in generale la lunghezza del pene misurata a riposo si e' ridotta da 9,7 centimetri a 8,9 centimetri (il 10% in meno negli ultimi 60 anni) e che in 52 ragazzi (il 30,7% dei quali obesi) la lunghezza si era ridotta a circa 6 centimetri, tanto che i ricercatori parlano di ''micropene''. (RCD)

giovedì 25 febbraio 2010

UN CEROTTO ALLA NITROGLICERINA FRENA IL CANCRO ALLA PROSTATA

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Urology piccolissime dosi di nitroglicerina potrebbero bloccare lo sviluppo del cancro alla prostata, uno dei tumori più frequenti nei maschi di età avanzata.
Il cerotto e' all'esame dei ricercatori della Queen's University di Belfast che hanno fatto tesoro dell'utilizzo gia' diffuso contro l'angina pectoris della sostanza scoperta da Alfred Nobel nel 1840. La nitroglicerina e' infatti una miscela, molto instabile, di azoto e ossigeno che in piccole quantita' ha un effetto vasodilatatore in grado di aumentare il flusso sanguigno.
I ricercatori hanno reclutato 29 pazienti con una diagnosi di cancro alla prostata che hanno utilizzato il 'cerotto' 24 ore al giorno, riscontrando che dopo 6 mesi i valori di PSA, il marcatore specifico del rischio di carcinoma prostatico, si era stabilizzato nella maggior parte dei casi.

Papilloma virus negli uomini, possibile causa di aborto precoce

di Adele Sarno
L'Hpv colpisce anche gli uomini: il 3-4% dei sani e l'11 degli infertili. Adesso una ricerca italiana che sarà presentata a Padova sostiene che quando gli spermatozoi trasportano il dna virale nell’ovocita alterano la fertilizzazione e lo sviluppo dell’embrione. Diventando così possibile causa di aborto precoce
Il papilloma virus ancora una volta si dimostra nemico della salute sessuale, sia maschile sia femminile. Non solo infatti è responsabile del cancro al collo dell’utero ma anche di eventuali episodi di abortività. Tutto dipende dagli spermatozoi che trasportano l’Hpv nell’ovocita. Il dna virale, una volta entrato, altera la fertilizzazione e lo sviluppo dell’embrione.

A individuare il legame tra papilloma e pluri-abortività è il professor Carlo Foresta, direttore del centro di crioconservazione dei gameti maschili dell’Università di Padova che, insieme alla sua équipe. “In molti pensano che il papilloma possa colpire solo le donne – spiega Foresta – ma in realtà è un virus che infetta anche tra gli uomini. Tanto che nella popolazione generale il Papilloma Virus è presente nel liquido seminale del 3-4% dei soggetti, mentre negli infertili la percentuale sale al 10-12, e in chi ha rapporti sessuali con donne infettate sale al 40%. E in questi casi l’Hpv, quando è presente nel liquido seminale, si lega agli spermatozoi, ne riduce la motilità e può provacare una riduzione della fertilità e abortività”.

I risultati preliminari della ricerca saranno annunciati alla XXV edizione del convegno sulla medicina della riproduzione, in programma al teatro congressi di Abano Terme (Padova), il 26 e 27 febbraio 2010. Ma, spiega l’esperto, lo studio verrà sottoposto all’attenzione della comunità scientifica internazionale. Va detto però che la capacità degli spermatozoi infettati in laboratorio con particelle virali, in grado di fertilizzare l’ovocita, sono stati testati grazie un esame di laboratorio eseguiti sul di criceto. Il Dna virale all’interno dell’ovocita si replica e riduce la sintesi di proteine virali, bloccando il processo di fertilizzazione.

“Questi risultati sono preoccupanti – commenta Foresta – soprattutto se gli spermatozoi con HPV vengono utilizzati per tecniche di fecondazione in vitro. Possibile infatti il passaggio del Dna virale nell’ovocita, con mancanza di sviluppo dell’embrione o aborto precoce". Il problema diventa ancor più importante dal momento che l’HPV è stato riscontrato in campioni di spermatozoi crioconservati, cellule che necessariamente vanno incontro a processi di fecondazione assistita: l’équipe ha evidenziato che il 7% dei pazienti che avevano congelato il loro seme risultava positivo per l’HPV, e in questi casi la microiniezione dello spermatozoo malato potrebbe portare a mancata fertilizzazione o ad aborto precoce.

“Da qui emerge prepotente la necessità da parte degli operatori – puntualizza il prof. Foresta – di analizzare il Papilloma Virus nel liquido seminale degli infertili prima di ogni crioconservazione e di prendere in considerazione anche il maschio come soggetto da vaccinare non solo perché vettore di infezione di HPV nelle partner (dove c’è la dimostrata associazione tra virus e tumore del collo dell’utero), ma perché anche nell’uomo può essere causa di disturbi della sfera riproduttiva”.(Febbraio 24, 2010)

mercoledì 24 febbraio 2010

Tumore della vescica

Tumore della vescica - Definizione
Tumore che ha origine dalle cellule che rivestono la cavità della vescica, organo deputato alla raccolta dell'urina prodotta dei reni. I tumori della vescica possono essere papillari (come una piccola escrescenza unita alla parete da una sorta di peduncolo) oppure, più raramente, avere una forma piatta o nodulare. La gravità del tumore dipende dal grado di invasione, che può limitarsi alla superficie dell'organo o estendersi ai tessuti circostanti. Possono anche comparire metastasi a distanza.

Tumore della vescica - Cause
Fattori di rischio accertati per i tumori della vescica sono: il fumo di sigaretta, l'esposizione cronica alle amine aromatiche e nitrosamine (carcinogeni impiegati nell'industria tessile, dei coloranti, della gomma e del cuoio), l'assunzione di alcuni farmaci (come la ciclofosfamide) e l'infezione da parassiti (come Bilharzia e Schistosoma haematobium). Esistono infine prove a favore di una componente genetica quale fattore di rischio predisponente.

Tumore della vescica - Sintomi
I sintomi principali sono la presenza di sangue nelle urine, il dolore durante la minzione e l'aumento della frequenza con cui si urina. Possono anche presentarsi incontinenza urinaria, dolore pelvico e addominale, anemia e perdita di peso. Tutti questi sintomi sono comuni anche ad altre malattie che colpiscono l'apparato urinario.

Tumore della vescica - Diagnosi
Per stabilire la presenza di un tumore della vescica si possono ricercare le cellule tumorali nelle urine e procedere a esami diretti come ecografia, cistoscopia e biopsia della vescica. L'esecuzione di una TAC e di una scintigrafia ossea possono permettere di valutare l'eventuale estensione della neoplasia ad altri organi.

Tumore della vescica - Cure
Per i tumori meno invasivi si può procedere all'asportazione della lesione, intervento che viene condotto attraverso l'uretra, seguita eventualmente, per evitare che la malattia si ripresenti, da un trattamento locale con il bacillo di Calmette-Guerin che, depositato sulle lesioni direttamente nella vescica, ne provoca l'eliminazione. Nei casi più gravi è necessario ricorrere alla rimozione della vescica (cistectomia), seguita dalla sua ricostruzione (neovescica ortotopica). Vengono anche utilizzate chemioterapia e radioterapia, da sole o combinate con altri trattamenti.

Tumore della vescica - Cure alternative
Non sono proponibili cure alternative per questa malattia.

Tumore della vescica - Alimentazione
La dieta, e in particolare il consumo di grandi quantità di fritture e grassi, gioca un ruolo importante nello sviluppo del tumore della vescica. Al contrario, l'ipotesi che alcuni dolcificanti potessero avere un ruolo nella genesi della malattia sembra essere stata smentita.

Cambiare vita per evitare il cancro

Nel mondo Un decesso su otto è dovuto a tumore
Cambiare vita per evitare il cancro
L’Oms: meno 30% di casi con cibi sani, sport e niente fumo. In aumento i tumori al polmone tra le donne



Ogni anno nel mondo viene diagnosticato un tumore a più di 12 milioni di persone e 7,6 milioni muoiono di questa malattia. Se non verranno prese misure concrete di contrasto si stima che nel 2030 saranno 26 milioni i nuovi casi e 17 milioni le vittime. A lanciare l’allarme è stata l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in occasione della Giornata mondiale per la lotta al cancro. La guerra ai fattori di rischio è l’unico modo per vincere la battaglia contro i tumori. «E —avverte l’Oms— oltre il 30% dei casi di cancro potrebbe essere evitato adottando stili di vita più sani». Oggi il cancro in tutto il pianeta è responsabile di un decesso su 8, più delle morti per Aids, tubercolosi e malaria messe insieme.

Non fumare, non bere alcol, seguire un’alimentazione corretta, fare esercizio fisico, prevenire le infezioni che potrebbero dare origine a un tumore. Sono queste le mosse vincenti per «dare scacco matto» al cancro, ricorda l’Oms. Che mette l’accento soprattutto sulle insidie del fumo e della vita sedentaria: le sigarette sono la prima causa evitabile di cancro (6 milioni di morti all’anno, ma i fumatori restano 1 miliardo e 500 milioni), mentre 30 minuti al giorno di esercizio fisico moderato possono ridurre il rischio di tumori a seno e colon.

I nuovi filoni di ricerca puntano su analisi dei dati di incidenza, mortalità e abitudini di vita: in modo da scoprire quanto si sbaglia ancora e quanto si può fare. Poi su nuovi test di diagnosi, sempre più precoci e sempre più soft: le radiazioni di alcuni esami sono, infatti, di per sé un rischio se si sommano troppe volte nell’arco di pochi anni. E, infine, su farmaci «intelligenti »: anche questi da studiare nel tempo perché possono anche diventare una terapia cronica (il cancro resta ma è bloccato).

Alcune aziende alimentari hanno investito in salute e prevenzione e trasformato le loro linee di produzione in modo anche da offrire ai bambini frutta e verdura anziché merendine. E questa è la battaglia più complicata: cambiare la cultura del cibo e creare nuovi trend. Non solo fumo, quindi,ma anche niente grassi nella dieta, movimento e cibi capaci di proteggere il nostro Dna.

Infezioni e infiammazioni sono l’altro settore da combattere: tenerle sotto controllo abbatte di un altro terzo l’incidenza di molti tumori. Imparare a mangiare bene è comunque la prima regola. Un noto ricercatore oncologo, Franco Berrino, ha dato vita ad una scuola di cucina (Cascina Rosa) presso l’Istituto dei tumori di Milano. È aperta a tutti. Giovanni Allegro è lo chef. Lui e Anna Villarini hanno tradotto gli studi di Berrino in un libro, Prevenire i tumori mangiando con gusto (Sperling & Kupfer).

In Italia, per esempio, sono in crescita il tumore del polmone nelle donne e i melanomi nell’uomo. Le cause? Le donne stanno sorpassando gli uomini nella classifica dei fumatori e gli uomini prendono il sole (che va preso e non va demonizzato) o fanno la lampada senza accortezze protettive. «Ma quali creme, un vero maschio non usa fattori protettivi», è la frase ricorrente. E senza quell’abitudine di stare all’aperto del mondo agricolo e marinaro.

In Italia anche i duemila tumori pediatrici all’anno sono in aumento. «La prevenzione deve essere cultura e deve cominciare a scuola», sostiene da anni Umberto Veronesi. Un rapporto dell’Istituto dei tumori di Aviano ha analizzato i trend temporali dell’incidenza e della mortalità per tumori in Italia nel periodo 1998-2005, in base ai dati di 20 Registri sulla popolazione in generale e di due Registri specializzati della banca dell’Associazione italiana registri tumori (Airtum). Sono stati analizzati 818.017 casi e 342.444 decessi, ricoprendo circa un terzo della popolazione. È la fotografia più completa al momento esistente sul trend del cancro in Italia, al netto dell’effetto invecchiamento. E permette di vedere che cosa è accaduto, e sta accadendo, in base alle varie fasce d’età, agli stili di vita, alla prevenzione primaria e secondaria (test diagnostici periodici), all’introduzione di nuove terapie, di nuove apparecchiature, alle esposizioni di tipo ambientale.

Il 70% della popolazione analizzata risiede al Nord, il 17% al Centro e il 13% al Sud. La mortalità per l’insieme di tutti i tumori ha una riduzione pari a -1,7% annuo tra gli uomini e -0,8% tra le donne. La mortalità per tutti i tumori si è quindi ridotta dal 1998 al 2005 di circa il 12% tra gli uomini e di circa il 6% tra le donne. Per quanto riguarda l’incidenza, invece, c’è stato un andamento in crescita tra gli uomini e stabile tra le donne. In particolare, la mortalità si riduce nei due sessi per i tumori del retto, dello stomaco (diminuzione non significativa per gli uomini dopo il 2003), del fegato, e per i linfomi non Hodgkin. Tra gli uomini è in riduzione per i tumori correlati al fumo (vie aero-digestive superiori, esofago, polmone e vescica), per il tumore della prostata e per le leucemie. Tra le donne, significativa riduzione anche per i tumori del colon, dell’osso e della mammella. Secondo Diego Serraino, direttore della struttura di Epidemiologia dell’Istituto di Aviano, la riduzione è frutto «della diminuzione dell’incidenza di tumori a prognosi sfavorevole, quale il tumore del polmone; della diffusione degli screening di popolazione per il tumore della mammella, della cervice e del colon retto; dei miglioramenti in campo diagnostico che hanno portato a individuare casi in fase sempre più precoce». «Nel periodo analizzato — dice — solo due tumori hanno mostrato una crescita statisticamente significativa dei tassi di mortalità: il tumore del polmone nelle donne e i melanomi tra gli uomini ».

Il totale dei tumori risulta in lieve crescita al Nord e al Sud e stabile nel Centro Italia. Tra le donne l’incidenza risulta in crescita significativa al Nord, stabile al Centro e stabile, dopo una fase di crescita, nel Sud Italia. Si segnala che il tumore del polmone cresce ancora al Centro e al Sud, mentre il trend è stabile al Nord. Se all’inizio del periodo in esame (1998) la mortalità per tutti i tumori presentava ancora un evidente differenza tra Nord e Sud, alla fine del periodo (2005) si è registrata un’omogeneizzazione della mortalità sul territorio nazionale. Per i tumori del fegato e delle vie biliari incidenza e mortalità al Sud è più elevata che nelle altre aree italiane. «Resta ancora molto da fare per contrastare l’aumento di incidenza dei tumori in Italia, in particolare con le modifiche dello stile di vita, ma è comunque incoraggiante il calo della mortalità riscontrata», dice Umberto Tirelli, direttore del Dipartimento di oncologia medica dell’Istituto di Aviano.

Mario Pappagallo
22 febbraio 2010

martedì 23 febbraio 2010

Diagnosi molecolare delle infezioni da HPV mediante amplificazione genica (PCR)

Il cancro della cervice è, come diffusione, la seconda forma di neoplasia nella donna. Molti studi epidemiologici hanno messo ormai in evidenza come l’ infezione da HPV sia il più importante fattore etiologico nello sviluppo di questo carcinoma . In particolare tre tipi di Papillomavirus, HPV 16, 18 e 31, sembrano essere correlati con lo sviluppo del carcinoma della cervice.

L’amplificazione diretta da campione mediante gli strumenti di biologia molecolare è ancora una volta il metodo più veloce ed efficace per una diagnosi corretta che consenta di eseguire poi i necessari e periodici accertamenti diagnostici sui soggetti a rischio. E’ oggi infatti possibile identificare in tempi brevi da un campione che può essere sia una biopsia che un semplice pap-test, non solo la presenza del virus ma la sua appartenenza ai vari tipi (es. Papilloma 6 , 11 , 16 , 18 , 31 , 33 , 34 , 35 , 39 , 40 , 42 , 43 , 44 , 45 , 51 , 52 , 54 , 56 , 58, o altri tipi meno frequenti). L'attribuzione del tipo virale viene condotta mediante l'analisi di sequenza impiegando un sequenziatore automatico a tecnologia fluorescente e successiva comparazione della sequenza ottenuta con i tipi e sottotipi virali identificati e descritti in letteratura.

La DIAGNOSTICA MOLECOLARE nelle Lesioni da HPV dell'uomo

L'infezione genitale da HPV è molto frequente negli uomini sessualmente attivi e si manifesta in forme polimorfe che vanno dal classico condiloma acuminato alle forme subcliniche papulomatose e maculari. L'importanza della diagnosi e del trattamento delle lesioni da HPV nell'uomo è confermata dall'evidenza che il rischio più significativo per la neoplasia cervicale è la presenza della condilomatosi genitale nel partner maschile. L'infezione genitale da HPV, anche nell'uomo è spesso asintomatica, senza lesioni clinicamente evidenti ma evidenziabili solamente con la peniscopia e, con una maggiore efficienza diagnostica, con indagini di Biologia Molecolare per la ricerca del DNA virale dell'HPV. Anche in questi casi l'uomo rappresenta ugualmente una importante riserva del virus, che gioca un ruolo significativo nella trasmissione e nella persistenza della malattia neoplastica nella donna in rapporto anche alla sua età ed al genotipo del virus infettante. Peniscopia e PCR nella diagnosi dell'infezione da HPV: due tecniche a confronto La tecnica per il depistage delle lesioni genitali maschili da HPV è chiamata peniscopia; anche nelle forme ben evidenti all'osservazione clinica, la peniscopia permette una definizione dettagliata della lesione esofitica e costituisce una guida per una terapia efficace e mirata, permettendo di evidenziare quelle lesioni associate che possono sfuggire completamente all'esame clinico, senza l'ausilio della visione ingrandita del peniscopio. Le lesioni condilomatose possono presentarsi sotto forma di: · - lesioni esofitiche, multicentriche, multifocali e polimorfe, localizzate a livello cutaneo, mucoso, uretrale distale e tutte con una buona correlazione istologica; · - papule, spesso di osservazione difficoltosa anche alla colposcopia, rilevate, pigmentate o rosate, a superficie verrucosa o leucoplasica con sovrimpressione di immagini di puntato vascolare, localizzate soprattutto in zone completamente cheratinizzate, asciutte, come l'asta o la zona perianale; · - macule non rilevate, isolate o confluenti, a contorni variabili, con immagini di puntato vascolare. Mentre la papule presentano una significativa correlazione con la displasia (PIN), le macule hanno una cattiva correlazione istologica. L'importanza di una diagnosi differenziale La colorazione biancastra che si osserva in seguito all'aggiunta di ac. acetico in corso di peniscopia non è specifica per le infezioni da HPV. Diversi fattori, quali irritazioni traumatiche, candidosi e infiammazioni sostenute da altri microrganismi (HSV, Clamydia, Mycoplasmi, ecc.) possono provocare eosinofilia. La diagnosi differenziale va posta anche con gli aspetti fisiologici delle papille che talvolta circondano la corona del glande (hirsutoid papillomas) e le ghiandole sebacee ectopiche (granuli di Fordyce). Vanno inoltre diagnosticate correttamente, coinvolgendo in un rapporto interdisciplinare le altre affezioni dermatologiche quali il lichen scleroso, il lichen plano, la psoriasi, la balanite di Zoon e le forme ulcerative dell'herpes e della sifilide. Per differenziare le lesioni da HPV dagli altri cambiamenti acidofili delle lesioni della cute del pene è richiesta una notevole esperienza clinica. Le lesioni da HPV sono di solito multifocali; il disegno vascolare non è immediatamente evidente ma con l'uso del colposcopio, a maggiore ingrandimento è visibile un puntato capillare. Le lesioni preneoplastiche del pene appaiono ben marcate, spesso lievemente rilevate e con un certo grado di paracheratosi. Queste sono intensamente acidofile ed è evidente un disegno di puntato. Il disegno di mosaico appare molto tardi nei processi neoplastici ed è sospetto per il cancro invasivo. La morfologia peniscopica delle lesioni preneoplastiche del pene è molto simile a quanto viene osservato per gli epiteli cervicali, vaginali e vulvari. L'evidenza di un comune agente eziologico, quale il virus HPV 16, nelle lesioni preneoplastiche del pene, nella malattia di Bowen e nella papulosi Bowenoide sottolinea l'importanza della diagnostica molecolare con la genotipizzazione del virus HPV, sia nell'uomo che nella donna.

Diagnostica molecolare

Spesso nella pratica clinica si riscontrano quadri infettivi morbosi diversi dai classici casi clinici, sostenuti da coinfezioni, dovute al protrarsi di un'infezione primaria o alla difficile valutazione clinica, quando il quadro clinico viene alterato da errate terapie. La riuscita della terapia medica, molto è dovuta all'intuito e all'esperienza del Clinico. La tecnica della PCR rappresenta quanto di meglio oggi si possa pretendere dalla evoluzione delle biotecnologie nell'area della Patologia Clinica per la diagnostica delle malattie batteriche e virali. Mediante questa tecnica, si possono svelare quadri di patologie infettive latenti o con scarsa presenza di agenti infettanti, che risulterebbero di difficile diagnosi o rimarrebbero senza diagnosi con qualsiasi altra tecnica. Per contro, con la tecnica di PCR, l'elevata specificità e sensibilità, mediante cicli ripetuti amplificazione genica, si possono esaminare campioni dove la presenza del genoma (DNA o RNA) dell'agente infettante viene amplificata e quindi dall'analisi dell'acido nucleico, risalire inequivocabilmente all'agente eziologico responsabile della patologia.

Significato clinico dell'infezione condilomatosa e l'importanza della genotipizzazione dell'HPV

I condilomi acuminati, sessualmente trasmessi, sono causati da HPV 11/16, a basso rischio. E' stato osservato comunque che donne con condilomatosi acuminata vulvare o che hanno avuto rapporti con uomini affetti da condilomatosi acuminata sono ad aumentato rischio di sviluppare atipie epiteliali, compreso il CIN 3. L'HPV16 infatti è stato individuato in oltre il 10% dei condilomi acuminati, una importante riserva di virus implicati nella carcinogenesi cervicale. Meno visibili clinicamente sono le papule appena rilevate sulla cute, pigmentate o non pigmentate situate sul glande, prepuzio, frenulo e asta del pene. Queste lesioni sono uniche o multifocali o coalescenti, da 3/5 mm ed oltre 10mm di diametro. Esse rappresentano il caratteristico aspetto della papulosi Bowenoide, che istologicamente mostrano un range di atipia epiteliale che varia da una semplice flogosi da HPV alla displasia severa/carcinoma in situ. Le lesioni papulari occorrono in uomini giovani, sono multifocali e localizzate sia al glande che all'asta del pene e possono essere distinte dal più classico morbo di Bowen che tende ad essere unifocale, localizzato al glande del pene di uomini più anziani. Le lesioni papulari del pene sono presenti in circa il 10% degli uomini con condilomi acuminati e nel 5-10% di partners femminili con CIN3. La storia naturale di queste lesioni non è ben conosciuta, ma si presume che il potenziale maligno sia basso. L'HPV 16 è stato estratto dal 90% delle biopsie; le lesioni papulari del pene aumentano significativamente il rischio di neoplasia cervicale e rappresentano un'importante riserva di HPV ad alto rischio. Questa associazione è un altro esempio della simile epidemiologia di questa malattia che è associata con virus sia a basso che ad alto rischio, indicando che i condilomi acuminati sono la spia di altre lesioni genitali associate a flogosi da HPV. La relativa frequenza di HPV associata a papule pigmentate o no, comparata all'alta rilevanza di infezione da HPV nella donna, evidenzia in questa lesione dell'uomo, la maggiore riserva dei genotipi di HPV che sono implicati nella carcinogenesi genitale. La peniscopia, dunque in aggiunta all'esplorazione clinica, permette soprattutto la scoperta di lesioni unicamente sub-cliniche, che appaiono dopo applicazione di acido acetico sotto forma di "aree aceto-bianche" in pazienti abitualmente asintomatici, partners regolari di donne che presentano lesioni virali condilomatose. La possibilità reale che tale indagine porti ad un elevato numero di falsi positivi davanti a lesioni acidofile o papillari, dovrebbe condurre il Ginecologo e/o il Dermatologo ad affidarsi ad un esame mirato di genotipizzazione del virus dell'HPV, che orienterà verso il miglior metodo terapeutico. In considerazione dell'eziologia della neoplasia cervicale, sebbene sia ancora discusso il ruolo del maschio in questo processo, sicuro è che le infezioni sub-cliniche del pene costituiscono un importante serbatoio di HPV ad alto rischio, implicate nella carcinogenesi genitale in entrambi i sessi. Può pertanto essere definito ad alto rischio l'uomo che pone la sua partner ad un aumentato rischio di neoplasia cervicale. Simili considerazioni possono essere fatte per il maschio omosessuale che pone il suo partner a rischio di neoplasia anorettale. E' auspicabile che tale esame di Biologia Molecolare entri, in tempi brevi, nella pratica routinaria investigativa ginecologica e dermatotologica, in quanto la GENOTIPIZZAZIONE del virus HPV, proprio per l'elevata specificità e sensibilità diagnostica, può condurre con certezza alla diagnosi e alla conseguente guarigione.

Correlazione HPV genotipo e specifiche forme cliniche forma clinica HPV genotipo

Verruca comune
1,2,4,41

Verruca del cavo orale
6,16

Verruche ano-genitali
6,11,1,2,40-45,51 (condilomi acuminati)

Papillomi laringei
6,11,30

Congiuntivite papillomatosa
6,11

Neoplasia intraepit.non specificata
33, 35

M. di Bowen
6, 31

Papulosi Bowenoide
16, 34,39,42

Displasia cervicale ad alto grado
16,18

Displasia cervicale a basso grado
6,11,31,45

Carcinomi cervicali e vulvari
16,18,11,31,33,35




Riepilogo informazioni sull' esame:


Gene Investigato:
Amplificazione: regione L1 del genoma del patogeno:

Metodica Impiegata:
Amplificazione genica (PCR); rilevamento in gel di agarosio

Referto:
Report

Consenso informato:
Non necessario

Diagnosi Prenatale:


Tempi di risposta 4-7 gg (altri casi)
Genotipizzazione: 8-10



Campioni biologici su cui è possibile eseguire il test:


Prelievo ematico in EDTA
2 ml

Scraping endocervicale

Tamponi vaginali

Tamponi cervicali
Biopsie
Vetrini istologici in paraffina (studi retrospettivi)
Urine 5 ml
Liquido seminale 1 ml



Conservazione: i campioni possono essere conservati a 4°C per 24 ore o a -80°C per tempi più lunghi.

Cuore: più rischi per gli uomini

Non è il sesso a ridurre il pericolo. Ma è probabilmente l'indicatore indiretto di uno stile sano


MILANO - Gli uomini che hanno più bassi livelli di attività sessuale risultano essere maggiormente a rischio di eventi cardiovascolari come infarti del miocardio e ictus. Lo indica uno studio appena pubblicato sulla rivista American Journal of Cardiology, che ha analizzato il rapporto tra attività sessuale e malattie cardiovascolari in una coorte di oltre 1.100 uomini di età compresa tra i 40 e 70 anni, che è stata seguita per circa sedici anni all’interno del Massachusetts Male Aging Study. Finora si sapeva che le malattie cardiovascolari sono più frequenti tra gli uomini che hanno difficoltà ad intraprendere rapporti sessuali a causa di problemi di erezione, e che questi problemi sono più diffusi tra i fumatori, le persone in soprappeso, oppure affette da ipertensione e diabete. Questo è però il primo studio che allarga l’orizzonte alle correlazioni esistenti tra vita sessuale e rischio cardiovascolare.

LO STUDIO - Gli autori, guidati da Susan Hall del New England Research Institutes di Watertown nel Massachusetts, hanno ipotizzato diverse possibili spiegazioni della correlazione emersa dalla ricerca. La prima è che forse, semplicemente, chi ha un’attività sessuale più soddisfacente si trova in generale in migliori condizioni di salute, che appunto gli consentono di provare attrazione sessuale e di impegnarsi nel rapporto. Un’altra ipotesi è invece che l’attività sessuale stessa possa rappresentare una forma di benefica attività fisica che risulta quindi protettiva per il cuore. Infine, c’è anche un’ipotesi più relazionale: gli uomini che hanno un maggior numero di rapporti sessuali sono probabilmente anche quelli che vivono una relazione affettiva stabile, che risulta protettiva nei confronti dello stress esistenziale e che funge da supporto emotivo, riducendo così il rischio di eventi cardiovascolari.

I MOTIVI - «Credo che il fatto di avere un più alto livello di attività sessuale possa essere considerato una sorta di marker di buone condizioni generali di salute» dice il dottor Stefano Urbinati, primario di cardiologia dell’Ospedale Bellaria Azienda Usl di Bologna commentando lo studio. «In altre parole, probabilmente non è tanto l’attività sessuale a ridurre il rischio di eventi cardiovascolari, ma il fatto che chi ha un’attività sessuale soddisfacente spesso ha anche uno stile di vita sano: più frequentemente fa attività fisica –compresa l’attività sessuale-, non fuma, presta più attenzione ad alimentarsi correttamente, a tenere sotto controllo la pressione arteriosa e gli altri parametri metabolici, come la glicemia. Il ragionamento vale anche per chi dovesse aver già avuto un infarto: chi supera meglio l’evento, sia dal punto di vista fisico che psicologico, magari supportato da un percorso riabilitativo, è molto probabile che possa tornare precocemente ad una vita attiva e completa anche dal punto di vista sessuale».

Danilo di Diodoro

sabato 20 febbraio 2010

LA LIGHT TERAPY CURA L’IMPOTENZA E LE DISFUNZIONI SESSUALI


Si basa sulla stimolazione della ghiandola pineale
Un nuovo studio italiano ha confermato che la light terapy migliora le performance sessuali degli uomini affetti da mancanza di desiderio, impotenza e incapacita' a raggiungere l'orgasmo. La terapia consiste nella stimolazione della ghiandola pineale all'interno del cervello per mezzo di fasci di luce. Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati su Psychotherapy and Psychosomatics, si fonda sull'assunto che la luce-terapia stimolando la ghiandola pineale, che regola diverse funzioni biologiche fra cui quella sessuale, possa influire sui disturbi che interessano questa sfera. I ricercatori hanno sottoposto i soggetti dello studio all'esposizione di un fascio di luce bianca fluorescente di intensita' pari a 10 mila lux, per mezz'ora al giorno, per un periodo di due settimane. Al termine della ricerca le prestazioni sessuali di tre pazienti su cinque sono migliorate sensibilmente.

Uomini più virili? Il segreto è nella tintarella (ma solo quella naturale)

Il testosterone nel sangue aumenta di pari passo con la presenza di vitamina D: per questo motivo la tintarella naturale è in grado di migliorare le prestazioni sessuali maschili fino al 69%. È quanto sostiene un nuovo studio condotto dai ricercatori del Sunlight Research Forum di Veldhoven, nei Paesi Bassi, e riportato dalla versione online del quotidiano inglese Telegraph: "Gli uomini che garantiscono al loro corpo un apporto sufficiente di vitamina D - spiega Ad Brand, portavoce del Sunlight Research Forum - si garantiscono un aumento del livello di testosterone e della libido".

Dallo studio è anche emerso che i cali di libido sono più frequenti a partire da ottobre, all`inizio dei mesi invernali, e raggiungono il loro livello più basso a marzo, a causa della debolezza delle

giovedì 18 febbraio 2010

Settimana della Prevenzione Andrologica

Clamidia. La nemica dei primi amori


Il nome ha un suono dolce ed invece è’la nemica «number one»dei primi amori. Parliamo della clamidia genitale che è una delle più comuni malattie sessualmente trasmesse nel mondo: colpisce milioni di donne ogni anno (100milioni) senza causare spesso alcun segno o sintomo visibile. Si tratta di un batterio (Chlamydia trachomatis) presente nella popolazione sessualmente attiva.


Clamidia. La nemica dei primi amori
Sesso


Nell’uomo l’infezione si localizza con frequenza all’uretra (il condotto che dalla vescica porta l’urina verso l’esterno) e di solito in chi ha meno di 35 anni, nella zona del testicolo. Nella donna, invece, può localizzarsi ancora all’uretra, al collo dell’utero e agli organi circostanti e in questo caso se non viene curata può causare una malattia infiammatoria alla zona pelvica (Pid) che può portare alla sterilità o gravidanze extrauterine. Inoltre durante il parto la donna può trasmettere l’infezione al neonato, causandogli congiuntivi (che possono causare cecità), polmoniti e otiti. L’infezione da clamidia è molto diffusa soprattutto tra le adolescenti e le giovani donne fra i 20 e i 26 anni, ovvero la popolazione femminile più a rischio di malattie sessuali. Una vulnerabilità biologica legata al sesso e all’età , che spiega quanto le giovanissime siano poco informate e non sufficientemente esperte nel proteggersi in modo adeguato. Secondo una ricerca nel nostro Paese sarebbero addirittura il 15% le ragazze che hanno contratto l’infezione. Purtroppo la clamidia spesso non dà sintomi e questo rende più difficile diagnosticarla.

Nella donna i disturbi (dolori durante i rapporti sessuali, secrezioni vaginali anomale, cistiti ricorrenti, perdita di sangue tra una mestruazione e l’altra e febbre moderata, pruriti genitali o dolori nel basso addome) compaiono solo quando l’infezione è in fase avanzata. Nell’uomo, il sospetto può sorgere quando ci sono bruciori e difficoltà a urinare, accompagnati da secrezione scarsa o assente. Quasi l’85% delle donne con infezione da clamidia sono prive di sintomi, contro il 40% degli uomini con lo stesso problema. Per questa ragione gli esperti raccomandano di effettuare un test , almeno una volta l’anno, a tutte le persone sessualmente attive in una relazione non monogama. Utilizzando le recenti nuove tecniche diagnostiche, i dottori possono analizzare in maniera affidabile le secrezioni genitali o le urine nel corso di una visita ad un laboratorio di analisi. La raccolta del campione può essere fatta a casa propria, senza imbarazzi o paure, ecco perché questi test condotti sulle urine sembrano essere i più indicati per le quindicenni

Esistono, comunque, quattro metodi per scoprire se è presente l’infezione:

1) COLTURE CELLULARI
Si tratta di uno dei test più sicuro per diagnosticare la clamidia. Prevede la raccolta del muco attraverso un tampone cervicale e la «semina» delle cellule così ottenute: se il batterio è presente, può essere riconosciuto dopo aver applicato anticorpi specifici.

2) IMMUNOFLUORESCENZA DIRETTA E SAGGIO IMMUNOENZEMATICO
Sono due esami consigliati soprattutto alle adolescenti, perché danno una risposta immediata e sicura e non sono troppo costosi. Dopo un prelievo di muco , il materiale raccolto viene subito esposto ad anticorpi che riconoscono la clamidia. Possono essere eseguiti anche su un campione di urina.

3) PCR
Reazione a Catena della Polimerasi., test molto costoso ma particolarmente sicuro, che consiste nel prelievo di una piccola quantità di materiale biologico per individuare eventuali geni di clamidia presenti. Estremamente sensibile, può essere eseguito anche sulle urine.

4) ESAME DEL SANGUE
Nel sangue si possono cercare gli anticorpi specifici contro la clamidia, a conferma dell’infezione in atto o pregressa.
Le infezioni da clamidia nel basso tratto genitale sono trattate con antibiotici, come la doxicliclina, l’azitromicina, l’eritromicina o l’oofloxacina. Se non rilevata e non curata, la clamidia può causare la malattia infiammatoria pelvica (infezione nelle ovaie e nelle tube di Fallopio), che può portare alla sterilità. La visita ginecologica, seppur sgradita, resta l’unico modo per riconoscere e trattare tempestivamente le malattie trasmesse per via sessuale. Dicevamo che le donne gravide che ne sono affette possono causare le infezioni nei bebé.

Le infezioni neonatali possono essere:

Congiuntivite
La manifestazione clinica più precoce dell’infezione da C. trachomatis è rappresentata dalla congiuntivite, presente in circa il 50-70% dei neonati infettati. Insorge in genere tra il 5° ed il 14° giorno di vita. La sintomatologia è caratterizzata dalla comparsa di essudato mucopurulento e da edema delle palpebre. Il decorso senza terapia è prolungato, con esacerbazioni spontanee. L'esito di solito è benigno, tuttavia possono residuare cicatrici congiuntivali e micropanno corneale; tali esiti non si verificano se viene instaurata una terapia adeguata.

Polmonite
La polmonite si manifesta nel 10-30% dei neonati infettati, per cui costituisce una delle più comuni forme di polmonite nei primi 6 mesi di vita. Insorge generalmente tra la 3° e la 12° settimana di vita. Nel 50% dei casi è presente la congiuntivite o risulta nell’anamnesi, può inoltre associarsi rinite o otite. Accanto a questo quadro classico esistono forme più gravi, più frequenti nei neonati pretermine, ad insorgenza più precoce con quadro di grave insufficienza respiratoria e forme più benigne la cui frequenza è spesso sottostimata per la difficoltà delle diagnosi. L'evoluzione è di solito favorevole; tuttavia se il trattamento non è adeguato, il decorso è molto prolungato (3-8 settimane).

A cura di CARLA PILOLLI

mercoledì 17 febbraio 2010

Non è mai troppo tardi per avere una sessualità attiva


Quando si parla di sesso ci si riferisce quasi sempre a giovani o adulti e molto raramente alle persone di una certa età. Un po' perché si tende a dare – erroneamente - per scontato che gli anziani in qualche modo non ci pensano più, un po' perché tendiamo a scartare certe immagini mentali.
Ma la realtà è un'altra. E per qualcuno potrebbe risultare sorprendente.
Secondo quanto riportato sulle pagine del NYDaily le persone anziane sono molto attive sessualmente, anche dopo gli 80 anni.
Dai dati emersi da uno studio, parte del National Social Life - Health and Aging Project, si è scoperto che circa l'84% degli uomini e il 62% delle donne di età compresa tra i 57 e i 64 anni hanno dichiarato di aver fatto sesso durante l'anno passato. E, dato sorprendete, tra coloro che hanno dichiarato di fare sesso vi era il 38% di uomini e il 17% di donne di età compresa tra i 75 e gli 85 anni.

I ricercatori del National Opinion Research Center presso l'Università di Chicago hanno commentato i risultati dichiarando che «le persone anziane possono e devono avere una vita sessuale molto attiva, e l'idea che lo facciano non è una visione sbagliata della società».
«Il bisogno di intimità e di contatto con un'altra persona non cambia con l'età», ha aggiunto il dr. Dennis Lin, Direttore del programma di medicina psicosessuale al Beth Israel Medical Center.

I risultati mostrano che a essere più sessualmente attivi e più aperti verso la sessualità sono i maschi. Secondo la dr.ssa Stacy Tessler Lindau, ginecologa, questo potrebbe essere imputato al fatto che le donne anziane hanno più difficoltà a trovarsi un partner. «Le donne tendono a sopravvivere il matrimonio, gli uomini invece tendono a vivere con il coniuge fino alla morte. Quindi ci sono meno uomini anziani intorno da scegliere come partner sessuale», ha aggiunto Lindau.
(lm&sdp)

Ruolo della nutrizione nella prevenzione dei tumori


Studi epidemiologici e su modelli animali, condotti per anni, indicano che alcune abitudini alimentari possono incrementare il rischio di cancro. Non sono state dimostrate le teorie per cui alcuni tipi di dieta e alcuni componenti degli alimenti forniscano una protezione contro lo sviluppo della malattia neoplastica. Tuttavia, il National Cancer Institute, NCI e l'American Cancer Society, ACS hanno stabilito alcune linee guida dietetiche prudenziali per la selezione dei cibi:

1 . Mantenere un peso corporeo desiderabile
2 . Alimentarsi con una dieta variabile
3 . Includere una nuova varietà di frutta e verdure nella dieta quotidiana
4 . Consumare una maggiore quantità di cibi ricchi in fibre, quali cereali integrali, legumi, vegetali e frutta
5 . Diminuire l'apporto totale di grassi (30% meno delle calorie totali)
6 . Limitare il consumo degli alcolici
7 . Limitare il consumo di cibi sotto sale o conservati con nitriti

1. Raggiungere e mantenere un peso corporeo normale . Un'eccessiva introduzione calorica e l'obesità sono state poste in relazione con un'aumentata mortalità per alcune neoplasie, tra le quali il tumore della mammella, dell'utero, del colon, della colecisti e della prostata. La prevalenza di questi tumori aumenta con il grado di obesità.

2. Variare la dieta . Dato l'alto numero dei componenti nutrizionali e non di ciascun cibo in una dieta e le complesse interazioni tra questi, è difficile isolare fattori che possono causare o prevenire il cancro. Un cambiamento totale delle abitudini alimentari verso una dieta varia, con quantità moderate, offre la miglior speranza per abbassare il rischio di cancro

3. Includere frutta e verdure varie nella dieta giornaliera. Il consumo di verdura e frutta è associato a un minor rischio di cancro del polmone, della prostata, della vescica, dell'esofago e dello stomaco. Questi cibi contengono vitamine, minerali, fibre e componenti non nutritivi che da soli o insieme possono essere responsabili della riduzione del rischio di cancro.


4. Mangiare più alimenti ricchi in fibre come cereali integrali, farina integrale, legumi, vegetali e frutta. L'incidenza del cancro del colon è bassa in popolazioni che utilizzano diete ricche di fibre. Si ipotizza che potrebbero esercitare i loro effetti diluendo la concentrazione dei carcinogeni nel colon, riducendone la formazione con l'alterazione della flora batterica intestinale.

5. Riduzione totale dell'assunzione di grassi. Tra tutti i fattori dietetici con possibili effetti sulla malattia neoplastica i grassi sono stati i più studiati. Sostanziali evidenze hanno suggerito che un'eccessiva introduzione di grassi aumenta il rischio di sviluppo di cancro della mammella, del colon e della prostata

6. Limitare l'assunzione di bevande alcoliche qualora assunte. I forti bevitori hanno un elevato rischio di sviluppare diversi tumori del cavo orale, della laringe e dell'esofago. Questi rischi sono inoltre aumentati nei fumatori.

7. Consumare con moderazione cibi conservati sotto sale, affumicati e con nitriti come conservanti. Le indagini relative al fatto che i cibi conservati sotto sale, o con nitriti possano aumentare il rischio di cancro dell'esofago e dello stomaco in quei paesi dove vi è un alto consumo di questi cibi nella dieta sono ancora limitate e parziali.

Tumori della vescica

II cancro della vescica si manifesta in due forme dal comportamento diverso: il tumore superficiale, più o meno circoscritto alla mucosa, quasi sempre di natura relativamente benigna, e il tumore di tipo invasivo che penetra in profondità, nella parete muscolare della vescica e risulta più aggressivo del primo.
I tumori superficiali costituiscono l'80% di tutti i tumori della vescica. In caso di recidiva dopo la terapia, essi tendono chiaramente a trasformarsi in tumori maligni e a invadere la parete muscolare.

INCIDENZA
Il tumore della vescica è in costante aumento nei Paesi industrializzati e rappresenta circa il 70% delle forme tumorali dell'apparato urinario e circa il 3% di tutti i tumori.
È più diffuso tra i 60 e i 70 anni, ed è tre volte più frequente negli uomini che nelle donne.

SINTOMI
La fase iniziale risulta spesso assolutamente asintomatica. I sintomi con cui si può presentare il tumore della vescica sono comuni anche ad altre malattie che colpiscono l'apparato urinario: presenza di sangue nelle urine, la formazione di coaguli, sensazione di bruciore alla vescica quando si comprime l'addome, difficoltà e dolore a urinare, maggior facilità a contrarre infezioni.
Con la progressione della malattia questi disturbi possono diventare importanti.
Il tumore della vescica si può diffondere localmente e a distanza per via linfatica, dapprima ai linfonodi e, successivamente, ai polmoni (24% dei casi), al fegato (21%) e alle ossa (6%).
Purtroppo, non sempre il suo comportamento è prevedibile.

PREVENZIONE E DIAGNOSI PRECOCE
Allo stato attuale, non esistono programmi di screening o metodi di diagnosi precoce considerati scientificamente affidabili.
Valgono le misure di prevenzione legate alle abitudini di vita, in particolare la rinuncia al fumo e al consumo regolare di analgesici e l’adozione di una dieta sana ed equilibrata.
Per quanto riguarda la diagnosi precoce la presenza di sangue nelle urine è un segnale d'allarme di particolare gravità che va subito riferito al medico per accertarne le cause.

Nel caso vi sia un sospetto di cancro alla vescica le procedure diagnostiche si basano sull’ecografia, l’urografia e la TAC, sulla risonanza magnetica, su metodi di tipo endoscopico (cistoscopia) che permettono di prelevare campioni di tessuto che verranno poi analizzati al microscopio, sulla ricerca di cellule tumorali nelle urine. Per valutare l’eventuale presenza di metastasi può essere utile la scintigrafia ossea.

TERAPIA
I tumori superficiali della mucosa (non infiltranti) possono essere in genere asportati con un intervento di elettrochirurgia per mezzo di uno strumento introdotto nella vescica attraverso l'uretra (resezione transuretale). Se un tumore maligno penetra invece nella parete muscolare o in caso di rapida crescita di un tumore superficiale, si ricorre alla cistectomia (asportazione dell'organo) parziale o totale, a seconda dello stadio e del tipo di tumore.

Sono oggi molto diffusi gli interventi combinati, che utilizzano, in combinazioni varie, chirurgia, chemioterapia e radioterapia.
Nel carcinoma in situ, per evitare che la malattia si ripresenti, si pratica un trattamento locale con il bacillo di Calmette-Guerin (lo stesso che provoca la tubercolosi ma inattivato) che, depositato sulle lesioni direttamente nella vescica, ne provoca l'eliminazione.

Nel tumore della vescica in fase avanzata l'approccio terapeutico è invece di tipo polichemioterapico (chemioterapie combinate).
Diversi farmaci si sono infatti dimostrati attivi contro il tumore della vescica.

martedì 16 febbraio 2010

VARICOCELE

Il varicocele nella moderna andrologia occupa un posto di rilievo tra le cause di infertilità maschile. Il varicocele ha un'incidenza relativamente alta secondo le statistiche tratte dalle visite di leva. Si ritiene che circa il 10% dei giovani adulti sia portatore di un varicocele.

Per varicocele si intende la dilatazione varicosa delle vene del funicolo spermatico soprattutto a livello del testicolo.

Generalmente il varicocele è sintomatico; solo negli stadi più avanzati il paziente accusa un senso di peso all'emiscroto o una sensazione di dolore gravativo. La diagnosi in caso di Varicocele voluminoso è già possibile alla semplice alla semplice ispezione visiva, mentre la palpazione dell'ammasso venoso o delle singole tortuosità venose dà diagnosi di certezza.

Uno strumento diagnostico di altrettanta validità è la Flussometria Doppler.

Negli ultimi anni, sembrerebbe esistere una correlazione diretta tra grado di Varicocele e grado di sub fertilità o INFERTILITA' . La prima ipotesi di danno è quella di un aumento della temperatura del testicolo.

In conclusione, per evitare possibili effetti dannosi che il Varicocele ha sull'infertilità, si impone una terapia medica risolutiva. Si è visto, infatti, che in soggetti sterili o con ridotta funzionalità spermatica si è avuta una ripresa della fertilità e un miglioramento delle condizioni degli spermatozoi dopo interventi di varicocelectomia .Infatti la casistica riporta un miglioramento dello spermiogramma nel 70% dei casi e una avvenuta fecondazione nel 55% dei casi

lunedì 15 febbraio 2010

Cistite: diete e consigli

NORME di COMPORTAMENTO e DIETA.

NORME DI COMPORTAMENTO e DIETA PER I PAZIENTI AFFETTI DA CISTITE.
Non usare indumenti troppo stretti ( slip – jeans ) ;
Eseguire un’accurata Igiene intima e frequente nel corso della giornata ;
Abolire di mangiare : cioccolata – cibi piccanti – spezie – carne di maiale – insaccati e cibi e bevande che possano acidificare le urine ;
Abolire gli Alcolici ed i Super-Alcolici, almeno per un certo periodo di tempo
Non abusare nel mangiare la Carne ;
Privilegiare come cibo, la Pasta ;
Limitarsi nel mangiare i Dolci ed i Cibi, ricchi di Zuccheri ;
Introdurre nella Vs. alimentazione, verdure come : Cipolla – Carciofo – Porro – Cavolo – Cicoria – Rape, che vantano un’azione coaudiuvante nella Terapia della Cistite ;
Distribuire i pasti piu’ frequentemente nell’arco della giornata, cercando di assumere la Sera, pasti leggeri ;
Cercare di bere, durante l’arco della giornata, abbondante acqua naturale, almeno 2 litri (nelle stagioni calde, anche 2 litri e mezzo) ;
Praticare rapporti sessuali protetti ( durante la patologia in atto ).


CONSIGLI UTILI PER LE Sig.re PAZIENTI AFFETTE DA CISTITE.

NORME DIETETICHE :


Consumare pasti possibilmente caldi e ad orari regolari.
Eliminare o ridurre, nel periodo acuto, in modo molto drastico i cibi piccanti e le carni di maiale, gli alcolici, l’uva, i pomodori ed altri cibi che possano acidificare le urine come : Cioccolato, Asparagi, Insaccati, Acciughe, Peperoni, Cipolle, Cavolfiori, Broccoli, Spezie, Peperoncino e le BEVANDE GASSATE.
Bere almeno un litro di acqua al giorno in modo tale da consentire un regolare ed adeguato apporto idrico all’organismo.
Bere delle bevande, a scelta, a base di : MIRTILLO ROSSO – BETULLA PENDULA – VERGA D’ORO (solidago virgaurea) – ORTOSIFON STAMINEUS.
Favorire la regolare funzionalita’ intestinale con un’alimentazione equilibrata.
In caso di stitichezza assumere liquidi e consumare alimenti ricchi di fibre vegetali, scorie
( pane integrale, verdure cotte a foglia larga, spinaci, frutta cotta ).

In caso di diarrea, evitare gli alimenti che hanno effetto stimolante sulla peristalsi come brodo di carne o di verdure, insaccati, uva, fichi, latte, formaggi fermentati.
Gli Alimenti qui di seguito elencati producono gas, non abusarne : Legumi, Broccoli, Cavolfiori, Verza, Fagioli, Cipolle, Funghi, Cetrioli, Formaggi Freschi e naturalmente le Bevande gassate.

STILE DI VITA :

Evitare di praticare sports potenzialmente traumatici ( bicicletta, motocicletta, equitazione ).
Passeggiare e praticare attivita’ sportive rilassanti ( nuoto, corsa moderata, ginnastica a corpo libero ecc. ).
Cercare di evitare se possibile attivita’ sedentarie.
Curare l’igiene personale ed in particolare quella intima.
Svolgere una regolare attivita’ sessuale senza eccessi, evitando durante il periodo acuto di avere rapporti senza profilattico.


Cercare di non indossare biancheria e pantaloni troppo aderenti.

Ancora sulle virtù del Melograno


La medicina ufficiale ha evidenziato le potenzialità terapeutiche del melograno, frutto che fin dall’ antichità è simbolo di fertilità, abbondanza e longevità, i ricercatori dell’ Università di Los Angeles hanno trovato che assumere succo di melograno rilascia nell’ organismo uno specifico acido, l’ acido ellagico, che ha un ruolo importante contro diverse patologie.

Già nell’ antichità si conoscevano le proprietà benefiche del melograno, le balauste hanno proprietà astringenti e diuretiche, grazie alla presenza del tannino, e sono ricche di vitamina A e vitamina B, nell’ antica Grecia le prescrivevano come antielmintico e antinfiammatorio, nel XIX secolo la scorza di questi frutti veniva usata per combattere la tenia, per la presenza di alcaloidi.

Michael Aviram, biochimico al Lipid Research Laboratory del Rambam Medical Center di Haifa (Israele), ha effettuato una ricerca nella quale risulta evidente che la notevole quantità di flavonoidi, antiossidanti protegge cuore e arterie e possono combattere le cellule tumorali.

Vediamo quali sono i benefici del melograno:
Azione anticancerogena: fase iniziale della carcinogenesi: l’ acido ellagico contenuto nel succo possiede numerose proprietà che interagiscono con molti degli aspetti del metabolismo cellulare dei mammiferi che partecipano alla fase iniziale ed allo sviluppo del tumore.

Tumore alla prostata: alcune ricerche hanno dimostrato che il succo di melograno rallenta la progressione del tumore della prostata, il suo regolare consumo aumenta, nelle persone operate o sottoposte a radioterapia per cancro alla prostata, il “tempo di raddoppio” dei livelli di PSA, il marcatore biologico che indica appunto la presenza del cancro.

Tumore ai polmoni: bere succo di melograno può aiutare a ridurre l’ accrescimento e lo sviluppo delle cellule del cancro ai polmoni, un valido aiuto per la prevenzione.

Tumore alla mammella: inibizione della proliferazione delle cellule cancerogene del seno.

Cancro della pelle: il succo di melograno contiene antiossidanti e polifenoli che possono contrastare l’ azione dei raggi ultravioletti (UV), che causano il cancro della pelle, interferendo nei processi di proliferazione delle cellule cancerose, questo sembrerebbe essere il risultato degli studi sugli effetti antitumorali delle antocianine e tannini.

Benefici cardiovascolari: rallenta lo sviluppo dell’ arteriosclerosi, abbassa la pressione sanguigna sistolica e migliora il profilo lipidico, diminuendo anche il rischio di malattie cardiovascolari, il succo migliora la perfusione e riduce la pressione nei pazienti con stenosi carotidea.

Diabete: gli antiossidanti di carattere fenolico esercitano un’ azione preventiva rivolta in particolar modo verso l’arteriosclerosi, inoltre gli zuccheri in esso contenuti non peggiorano i parametri del diabete, inclusi i livelli di zucchero nel sangue.

Artrite: le sostanze antiossidanti del frutto contrastano la osteoartrite, l’ estratto dei frutti di melograno può inibire la degradazione della cartilagine e può essere un utile supplemento nutritivo per la funzionalità e l’ integrità dell’ articolazione.

Menopausa: uno studio giapponese rileva che il succo di melograno ricco di sostanze estrogeniche può aiutare a combattere alcuni disturbi della menopausa come la depressione e la fragilità ossea.

Disfunzioni apparato sessuale maschile: il succo di melograno ha effetti positivi sulle disfunzioni erettili che, in tutto il mondo, riguarda un uomo su dieci, causate da ipertensione, placche arteriose, problemi cardiovascolari, diabete o depressione.

Succo di melograno prezioso elisir

Succo di melograno



Simbolo di amore ardente, di ricchezza e fertilità, di giustizia ed equilibrio, il melograno sin dall'antichità è stato considerato il tesoro tra i frutti.
I Babilonesi masticavano i semi prima della battaglia, ritenendo che li avrebbe resi invincibili, e gli antichi Egizi si facevano sepellire sotto montagne di bacche.
Il rosso dei fiori del melograno nella florigrafia, esprime volontà, determinazione, risolutezza, maturità. Se usati come decotto conferiscono importanti proprietà astringenti.
I semi contenuti nella grande bacca sono polposi, dal gusto delicato e gradevole, ricco di pregiati componenti bioattivi che hanno spinto già dai tempi di Ippocrate, gli studiosi a ricercare le molecole responsabili di tante virtù.
Non tanto il frutto, quanto il suo succo, si è dimostrato, agli occhi dei ricercatori, una vero toccasana per prevenire e curare diversi disturbi patologici.

Gli studiosi hanno evidenziato che un bicchiere al giorno di succo di melograno toglie il medico di torno: il suo succo può contenere fino a tre volte gli antiossidanti presenti nel tè verde o nel vino rosso.


I 10 benefici del melograno


Riduce il rischio di cancro al seno: studi in Israele hanno dimostrato che il succo di melograno inibisce e distrugge le cellule cancerogene del seno, lasciando solo le cellule sane;
Previene il cancro del polmone: studi su topi dimostrano che il succo di melograno può inibire lo sviluppo di cancro ai polmoni.
Rallenta il cancro alla prostata: studi su topi dimostrano che se alimentati con succo di melograno, questi manifestano un rallentamento del cancro alla prostata. In uno studio su 50 uomini che avevano consumato regolarmente un bicchiere di succo di melograno al giorno, i livelli di PSA si sono mantenuti stabili, riducendo la necessità di ulteriori trattamenti come la chemioterapia o la terapia ormonale.
L'attività protettiva nei confronti delle patolgoie cancerogene è da attribuire all'elevato contenuti di flavonoidi, potenti antiossidanti che combattono i radicali liberi - molecole instabili che possono danneggiare il DNA e le membrane cellulari, da cui può scaturire un processo cancerogeno.

Protegge il cervello neonatale: gli studi dimostrano che il consumo di succo di melograno è capace di proteggere un bambino dal disturbo che colpisce il tubo neurale.
Previene l'artrosi: diversi studi indicano che il succo di melograno può impedire il deterioramento della cartilagine.
Protegge le arterie: il succo ha una azione protettiva nei confronti del cuore; uno studio pubblicato nei Proceedings of the National Academy of Sciences suggerisce che il succo di melograno combatte l'indurimento delle arterie e le malattie connesse, come infarti e ictus.
Abbassa i livelli di colesterolo: riduce il livello delle LDL (colesterolo cattivo) e aumenta quello delle HDL (colesterolo buono).
Abbassa la pressione sanguigna: uno studio ha dimostrato che bevendo 50 ml di succo di melograno al giorno è possibile abbassare del 5% la pressione arteriosa sistolica.
Previene la malattia di Alzheimer: in uno studio, i topi allevati per sviluppare la malattia di Alzheimer sono stati alimentati con succo di melograno. I risultati sono stati sorprendenti: i topi hanno ridotto o ritardato la manifestazione della patologia, rispetto al controllo che aveva invece, seguito una normale dieta.
Riduce i problemi di disfunzione erettile: secondo uno studio pilota pubblicato sull'International Journal of Impotence Research, il succo di melograno ha effetti benefici sulla disfunzione erettile, un disturbo che colpisce 1 su 10 uomini in tutto il mondo e da 10 a 30 milioni di uomini solo negli Stati Uniti. La disfunzione erettile può essere causata da diversi fattori: pressione arteriosa alta, malattie cardiache, diabete, danni neurologici, squilibri endocrini o depressione. Bere quotidianamente il succo di succo di melograno al giorno, può aiutare a ridurre questo disturbo.

Quanto succo di melograno consumare?
In letteratura è possibile rinvenire che la dose consigliata è di un bicchiere da 250 ml; capace di fornire circa il 50% della dose giornaliera raccomandata (RDA) per un adulto, di vitamine A, C ed E e il 13% RDA di potassio.
Ne è assolutamente consigliato un consumo a tutte le donne che vogliono preparare una gravidanza: il succo di melograno apporta fino al 100% della RDA di acido folico, il cui ruolo è fondamentale per prevenire patologie gravi nel bambino (disturbo del tubo neurale e la spina bifida).

Non è tutto ora quello che luccica!
Mi raccomando non esagerare... un bicchiere di succo di melograno contiene tanto zucchero quanto ne contiene una bibita analcolica (Allegato), e quasi quanto due porzioni di cereali per la colazione. Sconsigliato il consumo, per via dell'elevato grado zuccherino ai diabetici e a chi segue diete ipocaloriche.
Per quanto riguarda il frutto: la parte edibile è praticamente inseparabile dal seme, perciò ne è consigliatoun consumo moderato ai soggetti che soffrono di diarree frequenti.

Composizione chimica per 100g di frutto
Acqua 80,5 g
Proteine 0,5 g
Lipidi 0,2 g
Glucidi 15,9 g
Kcal 63

Ricco di Vitamine A, C, B1, B2, E e PP; sali minerali fosforo, ferro e potassio.

Salvage of sildenafil failures with cabergoline

Salvage of sildenafil failures with cabergoline: a randomized, double-blind, placebo-controlled study
M R Safarinejad

AbstractTo evaluate the safety and efficacy of cabergoline in men with erectile dysfunction (ED) who did not respond to sildenafil. Four hundred two sildenafil nonresponders aged from 21 to 59 years were included in the study. Patients were randomly divided into group 1, those who received 0.5–1|[thinsp]|mg cabergoline weekly for 6 months and group 2, who received placebo for the same period. They underwent preliminary assessment, including medical and sexual history, self-administered International Index of Erectile Function (IIEF) and intravaginal ejaculatory latency time (IVELT) evaluation. Standard biochemistry and hematological laboratory tests, and measurement of serum testosterone and prolactin levels were also carried out. When indicated, other tests were used to establish the diagnosis of vasculogenic and neurogenic ED, including penile color duplex Doppler ultrasonography, pudendal nerve conduction test and impaired sensory-evoked potentials studies. The efficacy of two treatments was assessed every 2 weeks during treatment, at the end of the study, using responses to IIEF, IVELT evaluation, mean intercourse satisfaction domain, mean weekly coitus episodes and adverse drug effects. The trial was completed by 370 (92|[percnt]|) men. Positive clinical results were seen in 31.2|[percnt]| of patients in the cabergoline group compared with 7.1|[percnt]| of patients in the placebo group (P|[equals]|0.04). The mean weekly intercourse episodes increased from pretreatment values of 1.4 and 1.2 to 2.2 and 1.4, for cabergoline and placebo, respectively (P|[equals]|0.04). Baseline mean intercourse satisfaction domain values of IIEF 10 and 11 reached to 15 and 10 at 6-month treatment in groups 1 and 2, respectively (P|[equals]|0.04). The IVELT after cabergoline and placebo gradually increased from 98 and 101|[thinsp]|s to approximately 242 and 116|[thinsp]|s, respectively (P|[equals]|0.001). More drug-related adverse effects occurred in cabergoline group and 12 (5.9|[percnt]|) had to discontinue treatment (P|[equals]|0.001). Cabergoline is moderately effective salvage therapy for sildenafil nonresponse. Further studies with different dosages and treatment regimens are necessary to draw final conclusions on the efficacy of this drug in ED. International Journal of Impotence Research (2006) 18, 550–558. doi:10.1038/sj.ijir.3901476; published online 20 April 2006

Cabergoline treatment in men with psychogenic erectile dysfunction

Cabergoline treatment in men with psychogenic erectile dysfunction: a randomized, double-blind, placebo-controlled study
M Nickel , D Moleda , T Loew , W Rother & F Pedrosa Gil

AbstractThe effectiveness of cabergoline in 50 men with psychogenic erectile dysfunction was investigated in a 4-month, randomized, placebo-controlled, double-blind study with validated psychological tests, and prolactin, follicle-stimulating hormone, luteinizing hormone and testosterone serum levels. Cabergoline treatment was well-tolerated and resulted in normalization of hormone levels in most cases. In the cabergoline-treated group, significant interactions between prolactin and testosterone serum concentrations were observed. Erectile function improved significantly. Sexual desire, orgasmic function, and the patient's and his partner's sexual satisfaction were also enhanced. Cabergoline may be an effective and safe alternative agent for men with psychogenic ED. International Journal of Impotence Research (2007) 19, 104–107. doi:10.1038/sj.ijir.3901483; published online 18 May 200

DESIDERIO E “REAZIONE ORGASMICA”

DESIDERIO E “REAZIONE ORGASMICA” (*).
Con il termine “desiderio” ― che, essendo composto dal prefisso privativo “de” e dal
sostantivo latino neutro plurale “sidera” (“stelle”), significa letteralmente “privato dalle stelle”
col sottointeso di sentirsi in bramosa attesa di poterle rivedere ― si suole convenzionalmente
indicare quella capacità intellettiva, propria della specie umana, quale “l’avvertire
nell’introspezione cosciente l’impellente bisogno di dover realizzare un vissuto gratificante”.
La “Reazione Orgasmica” (R.O.), anch’essa tipica della specie umana ― provocata
dalla stimolazione ad oltranza dei recettori erogeni, concentratesi selettivamente, durante l’ultimo
periodo dell’evoluzione filogenetica, in particolari zone muco-dermiche dei segmenti più esterni
degli organi genitali dei primati più evoluti, con la massima espressione nell’“homo sapiens”―
costituisce una“potente droga” del tutto gratuita a disposizione dell’intera umanità. Infatti, la R.O.,
come ormai è ben documentato, induce nel contesto del Sistema Nervoso Centrale (S.N.C.) umano,
un tempestivo incremento massivo, oltre che degli ormoni neuroipofisari “ossitocina”,
“vasopressina” e “prolattina” e dei neuromediatori sinaptici “serotonina”, “dopamina” e
“noradrenalina”, anche, e soprattutto, dei neuromodulatori “encefalinici” ed “endorfinici” (in
particolare, la “β-endorfina”, vera e propria “morfina endogena”). Pertanto, appare essenziale
delineare brevemente le loro rispettive funzioni, implicanti la modulazione del “desiderio” in tutti i
suoi aspetti.
L’“ossitocina”, indicata anche come “ormone dell’amore”, sintetizzata nell’ipotalamo ed
accumulata nella neuroipofisi, inizia ad essere secreta già fin dall’inizio della stimolazione
erotorecettoriale, cioè durante la cosiddetta “fase logaritmica” dell’eccitazione erotica, ma si
diffonde massivamente in coincidenza con l’acme orgasmico a completamento della R.O.,
specialmente nella donna, in cui il livello ossitocinico ematico post-orgasmico risulta, addirittura,
quintuplicato, tanto da provocare notevole vasodilatazione, ben evidenziata dal tipico rossore postorgasmico
che invade la regione mammaria e il volto femminile. Inoltre, l’“ossitocina”, prodotta
dalla R.O. espleta la funzione di indurre il “desiderio” di fedeltà e la funzione di stabilizzare il
legame sentimentale verso il partner e di incentivare la protezione verso la prole. Tale “desiderio”
permane a lungo, nonostante che il tasso ematico di “ossitocina” torni al livello standard originario
entro una diecina di minuti. L’“ossitocina”, prodotta dalla R.O., nel maschio induce soddisfazione
e sentimento di affetto e fedeltà per la partner.
La “vasopressina”, altro ormone sintetizzato nell’ipotalamo ed accumulato nella
neuroipofisi, è massivamente secreto durante la R.O., esclusivamente negli uomini, con la
conseguenza di smorzare l’impeto aggressivo, di indurre l’appagamento e di suscitare
l’innamoramento verso la partner.
La “prolattina”, altro ormone che, sintetizzato nell’ipotalamo ed accumulato nella
neuroipofisi, si libera massivamente con la R.O. ed il suo tasso ematico elevato perdura per oltre
un’ora. La “prolattina”, al pari della “serotonina” e della “β-endorfina” è una delle
molecole responsabile dell’effetto consumatorio della R.O. in quanto la riduzione post-orgasmica
del “desiderio” correla direttamente con il suo tasso ematico indotto dalla R.O. Tale evenienza è
confermata anche dal fatto che la “prolattina”, la cui produzione è ostacolata dall’attività del
sistema dopaminergico, aumenta allorché è inibita la neurotrasmissione dopaminergica, con la
conseguente soppressione del “desiderio erotico”. Infatti, la somministrazione dell’“aloperidolo”,
antagonista della trasmissione dopaminergica, induce aumento della “prolattina” con la
conseguenza di una notevole caduta del “desiderio erotico”, e quindi soppressione dell’attività
sessuale. Mentre, la somministrazione della “bromocriptina”, inibitore della secrezione di
“prolattina”, induce un notevole aumento del “desiderio erotico”.
La “serotonina” ― che nel S.N.C. è accumulata nei neuroni del “nucleo del rafe”, sito
nella regione bulbare posteriore ― è massivamente liberata dalla R.O. con l’immediata
conseguenza della sua diretta azione specifica di aumentare il tono dell’umore e della
2
contemporanea sua azione complementare stimolatoria sul rilascio della “prolattina”, la quale a sua
volta, provoca immediatamente la repentina caduta del “desiderio erotico”. D’altra parte, è noto
come l’assunzione di farmaci serotoninergici ― quali gli antidepressivi inibitori della ricaptazione
della “serotonina”, ma anche i diretti agonisti recettoriali serotoninergici come la “quipazina” e
l’assunzione di “5-idrossitriptofano”, immediato precursore della “serotonina” ― pur rialzando il
tono dell’umore nei depressi non vi ripristina il “desiderio erotico”. Invece, il blocco della fase
intermedia della sintesi di “serotonina” tramite somministrazione di “para-cloro-phenilalanina”,
incrementa il “desiderio” di ogasmare nell’uomo e la “compulsività copulativa” nel ratto. Tale
attività è anche incrementata da una dieta alimentare priva dell’aminoacido “triptofano” precursore
alimentare della “serotonina” o da una dieta sfavorente il suo utilizzo nella sintesi della
“serotonina”, nonostante il suo apporto dietetico.
La “dopamina”, principale neurotrasmettitore contenuto nello “striato”, nella “sostanza
nigra” ed in altri nuclei della base encefalica e che, oltre a costituire il cosiddetto “sistema
extrapiramidale” da cui originano i motoneuroni “a2” innervanti le fibre muscolari “rosse” a
fuzione posturale entigravitaria, è anche il neurtrasmettitore specifico delle seguenti regioni
cerebrali: “area grigia centrale”, “nucleo arquato”, “nucleo caudato”, “putamen”, “nucleo
accumbens”, “tubercolo olfattorio”, “setto pellucido”, “ipotalamo”,“talamo” e “corteccia frontocingolata”,
tutte regioni implicate nell’induzione all’attività “erotico-sessuale”. Infatti, la
“dopamina”, quando raggiunge la massima concentrazione ematica determina l’irresistibile
“desiderio” compulsivo a dover orgasmare. Per quanto concerne l’implicazione della “dopamina”
nell’indurre il “desiderio erotico” si è potuto constatare una notevole stimolazione in tal senso nei
pazienti affetti da “morbo di Parkinson” sottoposti a terapia con “l-dopa”, diretto precursore della
“dopamina”. Mentre, i neurolettici che bloccano i recettori della “dopamina” (D2 e D5 in specie)
sopprimono sia il “desiderio erotico” sia l’eiaculazione, al pari della “α-ametil-para-tirosina” che
blocca la sintesi della “dopamina”.
La “noradrenalina”, neuromediatore secreto dalle ghiandole surrenali, è implicato nel
determinismo del “desiderio erotico” in quanto tale “desiderio” risulta tanto più forte quanto
maggiore è l’entità della concentrazione dei recettori noradrenergici nell’“amigdala” e
nell’“ippocampo”. L’“amigdala” filogeneticamente rappresenta l’“archistriato” dei rettili la cui
corteccia consiste nell’“ippocampo”. Allorché i vertebrati possedevano soltanto l’“archipallium”,
l’“amigdala” rappresentava l’elemento direttivo principale del comportamento aggressivo in
genere, mentre con lo sviluppo del “neopallium” essa è passata al ruolo di “modulatore
automatico”, poiché dagli esperimenti di stimolazione si è potuto rilevare che la parte mediale
dell’“amigdala” sottende a funzioni ergotrope di tipo aggressivo, mentre la parte laterale sottende a
funzioni opposte di tipo inibitorio, pur rimanendo in un certo qual modo coinvolta nel
comportamento “sessuale aggressivo”.
Le “encefaline”, neuromodulatrici, secrete dalle ghiandole surrenali ed accumulate
nell’adenoipofisi, sono, normalmente devolute allo stimolo della “fame” ed all’induzione
dell’aggressività predatoria ed hanno i loro recettori specifici nei neuroni di varie aree encefaliche,
ma con massima concentrazione, soprattutto, nel “nucleo interpeduncolare”. Inoltre, esse sono
implicate nella modulazione del rapporto “piacere” / “dolore” favorendo la tolleranza al “dolore”
e, poiché sono abbondantemente rilasciate nella fase preorgasmica della R.O, potrebbero essere
coinvolte nel sostenere la parafilia sessuale masochistica negli individui predisposti in tal senso.
La “β-endorfina”, principale neuromodulatore sinaptico che, accumulatosi
nell’adenoipofisi, è escreto in dose massiva con la R.O. e, quanto più questa è intensa e
soddisfacente, tanto più risulta significativo l’aumento del tasso ematico di “β-endorfina”,
con la conseguenza omeostatica dello smorzamento del “desiderio erotico”. Infatti, anche la somministrazione sperimentale intracerebrale di “β-endorfina” inibisce il “desiderio
erotico”, al pari della somministrazione dell’endorfinergico “D-α2-Metil-Enkephalinamide” e della
“morfina” mentre, di contro, la somministrazione di “naloxone”, antagonista della “β-endorfina”,accentua il “desiderio erotico”. D’altra parte, l’“acme orgasmico” umano risulta tanto più intenso
e soddisfacente quanto più è stato possibile protrarre la “fase di mantenimento” la quale è l’unica
fase della R.O. suscettibile di modulazione individuale con la possibilità di essere prolungata al
massimo, mediante adeguato addestramento, anche fino ad oltre un’ora! In tal caso, l’intensità della
caratteristica sensazione di distensione con euforia e scomparsa del “desiderio erotico”, causata dal
repentino massivo rilascio di “β-endorfina”, è notevole e soddisfacente.
In conclusione, si ritiene opportuno sottolineare che il “desiderio” di espletare l“attività
erotico-sessuale” è da ritenersi una funzione fisiologica tipicamente umana, poiché in tutti gli altri
esseri viventi l’“attività sessuale” è automaticamente espletata, in determinati periodi ormonodipendenti
obbligati, senza poterla né desiderare ne pregustare essendo, tra l’altro, la relativa prassi
priva di complementare erotismo introspettivo. Pertanto, nella specie umana la pervasività del
“desiderio erotico-sessuale” in eccesso, rispetto alla norma, si deve considerare patologica solo se
è egodistonica e se determina dipendenza. Mentre, esclusivamente il maschio, se ha un “desiderio
sessuale” eccessivamente ipoattivo, rispetto a quello della media normale propria della fascia d’età
di appartenenza, o se non ha affatto tale desiderio, si deve considerare disturbato in tal senso. Infatti,
è sempre stata opinione comune che nel maschio umano, a differenza della donna, non sussiste una
reale ipoattività del “desiderio sessuale”. A riguardo basta ricordare che, sessanta anni or sono, il
famoso sociologo Alfred Kinsey ed i suoi collaboratori, furono portati ad evidenziare come gran
parte degli uomini, in età fertile, sia pervasa da un altissimo “desiderio erotico-sessuale”, tanto da
poter rilevare che non mancavano uomini portati ad avere persino oltre 30 amplessi alla settimana,
così da far pensare che solo una parte esigua di uomini in età fertile avverte scarso “desiderio
erotico” con inefficace spinta a ricercare l’amplesso. Ma, sicuramente, quei pochi uomini che nel
lontano 1948 asserivano di essere portati a praticare oltre 30 amplessi alla settimana, oggi sarebbero
stati, senz’altro, identificati in quel 6% di maschi affetti dalla “Dipendenza da Reazione
Orgasmica” che, a causa di una loro predisposizione genetica all’assuefazione con crescente
tolleranza, l’incremento endorfinico scatenato dall’“orgasmo” non è più sufficiente a smorzare il
“desiderio erotico”, per cui in essi si determina l’ossessiva ricerca compulsiva a ripetere sempre
più ulteriori “orgasmi” onde evitare l’instaurarsi della fastidiosissima sindrome di astinenza.
______________________________
(*) Relazione svolta da FERNANDO LIGGIO alla Tavola Rotonda “Patologie del desiderio sessuale
maschile” nel VIII CONGRESSO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI CHIRURGIA
GENITALE MASCHILE (Roma 21-22 giugno 2007).

domenica 14 febbraio 2010

Dieta contro la Candida

La dieta contro la candida mira ad impedire l'eccessivo proliferare di questo microrganismo, sottraendogli il nutrimento e potenziando le difese immunitarie dell'organismo.

Candida albicans è un fungo saprofita di comune riscontro nel cavo orale, nel tratto gastrointestinale e nella vagina; l'aggettivo saprofita sottolinea la sua capacità di trarre beneficio dal corpo umano senza arrecargli danno o apportare benefici. La proliferazione della candida è infatti controllata dal sistema immunitario, dai batteri probiotici che popolano l'intestino e dai lattobacilli della flora vaginale. Solo quando tali difese vengono minate da fattori come uno stress severo, l'uso di antibiotici ed un'igiene vaginale eccessiva, la candida assume connotati patologici; si parla in tal caso di candidosi, una malattia le cui manifestazioni possono interessare la cute, la vagina, la pelle e, negli individui immunocompromessi come gli HIV positivi in fase avanzata, l'intero organismo.

Molti sostenitori della medicina olistica ritengono che la sovracrescita di candida nell'intestino umano (candidosi intestinale) sia responsabile di sintomi come depressione, malumore, affaticamento, perdita di memoria, mal di testa e smodato bisogno di dolci. Gli stessi autori cercano di porre rimedio al problema tramite una serie di regole alimentari, utili per riequilibrare la microflora locale e ridurre il numero di questi funghi. Tali norme rappresentano le fondamenta su cui si erige la dieta per la candida proposta per la prima volta al grande pubblico attraverso il libro The Yeast Connection: A Medical Breakthrough di Crook, WG, uscito negli Stati Uniti nel lontano 1983. Prima di esaminare i princìpi su cui si basa, iniziamo col dire che non esiste alcuna certezza sull'utilità di questa dieta, né tanto meno sul legame tra i sintomi soprariportati e la candidosi intestinale. Per contro, ridurre eccessivamente la varietà di alimenti consumati rischia non solo di rendere l'alimentazione monotona, troppo restrittiva e come tale difficile da seguire, ma anche di causare - alla lunga - deficit nutrizionali di non poco conto. Per questo motivo, prima di intraprendere la dieta contro la candida, è molto importante rivolgersi ad una figura esperta in materia, come un medico od un nutrizionista.

Le regole base di qualsiasi dieta per sconfiggere la candida impongono l'allontanamento di zuccheri, alcolici e cibi ricchi di lieviti e micotossine. Per questo, in cima alla "black list" troviamo il saccarosio, la frutta (sia quella zuccherina che quella essiccata), buona parte dei cereali, le bevande zuccherate ed alcoliche (in particolare la birra), i cibi affumicati o ricchi di conservanti, le arachidi, l'aceto, il pane (ammesso quello non lievitato) ed i formaggi a pasta dura. Dall'altro lato, la dieta per la candida incentiva il consumo di yogurt non zuccherato (in quanto alimento ricco di batteri utili per la salute dell'intestino), di specifiche formulazioni probiotiche e prebiotiche, dell'aglio, della curcuma e di vari cibi fermentati come il miso o il kefir. Consentiti il pesce, le uova, la carne magra, l'olio di oliva ed altri oli di semi, il riso integrale, le alghe e le verdure (ben lavate).

L'alimentazione anticandida dà molto spazio ad alcuni integratori, come i già citati probiotici (soprattutto batteri del genere Lactobacillus), prebiotici (FOS ed inulina) e complementi a base di fibre solubili (pectina, gomma di guar, semi di psillio e di lino). La fitoterapia, dal canto suo, suggerisce l'uso di alcuni oli essenziali (origano, menta, timo e maleluca), da assumersi esclusivamente sottoforma di opercoli (se non attentamente dosati sono molto pericolosi), droghe adattogene - immunostimolanti, come l'uncaria tormentosa, il pau d'arco e l'echinacea, droghe coleretiche - colagoghe, come la curcuma od il carciofo, droghe carminative, come il finocchio, il cumino e l'anice, e droghe antibatteriche, come la propoli, l'estratto di semi di pompelmo ed il rizoma essiccato di Hydrastis canadensis.

La durata della dieta per la candida dipende dalla salute generale dell'organismo, dalla severità dei sintomi e dalla loro durata; a tal proposito si registrano pareri discordanti, ma le persone che rispondono con successo alla dietoterapia affermano che è necessario seguirla per almeno quattro settimane prima di vedere i primi risultati. Per molti altri si parla di mesi.

Le scelte alimentari delle prime settimane sono particolarmente rigorose, tanto che l'apporto glucidico complessivo può scendere al di sotto dei 60 grammi. Naturalmente, bisogna tener conto dei fattori sopraesposti, nonché del sesso, della struttura corporea, dell'attività fisica e del peso iniziale del paziente. Sempre in queste fasi preliminari, può capitare che i sintomi peggiorino, sia perché l'organismo si sta lentamente abituando al nuovo regime alimentare, sia perché il corpo viene "inondato" delle tossine dei microrganismi morenti. Mano a mano che i sintomi migliorano, la dieta anticandida può divenire meno rigorosa, ma per evitare recidive è bene continuare a moderare il consumo di zuccheri semplici e carboidrati a medio indice glicemico.

Is garlic the dietary equivalent of Viagra?

Is garlic the dietary equivalent of Viagra? Scientists have discovered that eating garlic can boost the sex drive for men experiencing impotence. Erectile Dysfunction (ED) can be an indication of hardening of the arteries, which is also a possible precursor to impending cardiovascular problems. As a result, ED may often serve as an early warning symptom for a heart attack. Because statistical data indicates that more than 100 million men worldwide face erection problems, and barely half of them want to admit it, this is a problem to be taken seriously. The study performed at St. Thomas Hospital in eating 4 raw cloves of garlic a day helped to the arteries for improved blood flow into the Garlic contains allicin which is credited for help the heart by reducing calcium buildup as prostate cancer. the United Kingdom proved that lower cholesterol and made room in penis resulting in more erections. improved blood flow. Garlic may also well as aid in the fight against

Keep in mind that the occurrence of ED can occur due to a number of other diseases such as diabetes, cardiovascular disease, diseases of the thyroid gland, prostate gland, nervous system, urinary system, and a drop in hormone levels particularly during Andropause, as well as a host of mental issues. In addition, the use of numerous drugs prescribed by doctors for common problems such as high blood pressure, depression and stomach ulcers may also exacerbate ED. What are my options? Definite DON'Ts Alcohol Alcohol kills reproductive cells and decreases sperm viability. It also disrupts the link between the brain and the penis. Excessive use of alcohol inhibits the creation of the male sex hormone, androgen. Smoking Nicotine reduces arterial pressure and as a result, prevents blood circulation to the penis. In addition, toxic substances from smoking are detrimental for sperm maturation. Marijuana Sharply reduces the level of male sexual hormones, disrupts chromosomes and promotes undesired genetic changes. Anabolic Steroids Anabolic steroids bear a close resemblance to testosterone and as a result, the body stops its natural production causing impotence to occur. High Cholesterol Too much cholesterol blocks the vessels providing blood to the penis and thereby reduces the blood flow necessary to maintain an erection. Overweight

Being overweight can disrupt your hormone balance and, as a result, the production of hormones necessary for achieving erection can become insufficient. Chemical drugs Studies show that out of two hundred most used medicines; as many as sixteen are likely to cause impotence. Among the most risky are drugs used for the treatment of high blood pressure, depression, insomnia, ulcers, tumors, plus a couple of medications used to combat allergy. Definite DOs Nutrition Cut garlic into small pieces and eat 4 raw cloves a day for best results. Feel free to add it to your regular diet which needs plenty of fruits and vegetables. To combat bad garlic breath, chew on fresh parsley or mint after you eat the garlic. Get enough fiber; for men 35 grams a day. Eat grains, bran, whole meal bread, legumes, lentils, berries, prunes, barley, millet, buckwheat and oatmeal. Keeping the transit time for waste to pass through the body as low as possible is a great way to promote overall health. Avoid overeating. Avoid smoked stuff, fat & red meats; slash sweets and anything made with white flour. Substitute omega 3 rich foods such as salmon, tuna, sardines and flaxseed. Avoid sugar and salt as much as possible. Use suitable oils are those made of olives, flax, sesame, sunflower or rape. Also include unsalted nuts, sunflower and pumpkin seeds in moderation. Exercise Aerobic exercise every day is a must especially as we age. No excuses; just get out there and do at least 30 minutes a day, 5-6 days a week with activities such as: walking, jogging, swimming, biking, rowing, etc. You'll also have the added benefit of reduced stress levels and enhanced moods. Don't forget to calculate your target heart rate and stay within that zone. Additional Tip: Keep your attitude positive; it can't hurt!

sabato 13 febbraio 2010

Infertilità ed infezioni uro-genitali maschili

Sono responsabili di una quota cospicua,
pari a circa il 10-15%, dei casi di infertilità.
Infertilità
ed infezioni
uro-genitali maschili
L’infezione può interessare diverse sedi
del tratto genitale maschile, come testicoli,
epididimo, prostata e vescichette
seminali e può contribuire all’infertilità
attraverso diversi meccanismi: produzione
di sostanze tossiche per gli spermatozoi*,
riduzione della loro motilità e della capacità
di penetrazione, alterazione della
composizione del plasma seminale.
Le infezioni del testicolo alterano profondamente
la spermatogenesi*. La più
importante infezione che coinvolge il
testicolo in pazienti in età riproduttiva
è la parotite, che può esitare frequentemente
in sclerosi dei tubuli seminiferi
ed atrofi a del testicolo. Possono aversi
conseguenze simili anche nel caso di
epididimiti batteriche che vanno a coinvolgere
il testicolo.
Risultano però molto più frequentemente
coinvolte nei casi di infertilità maschile
le infezioni delle ghiandole sessuali
accessorie, la prostata e le vescichette
seminali. La prostata infatti è un organo
di fondamentale importanza per la riproduzione,
sia per la sua posizione, sia per
il contributo che il suo secreto porta alla
composizione del plasma seminale, di
cui costituisce il 30% del volume. Il fl uido
prostatico inoltre svolge un importante
compito nella induzione della motilità
degli spermatozoi e contiene fattori che
proteggono gli spermatozoi stessi dall’acidità
del secreto vaginale. Pertanto
è facilmente comprensibile come una
disfunzione prostatica possa provocare
turbe più o meno rilevanti della funzione
sessuale e riproduttiva.
Le prostatiti* croniche determinano
modifi cazioni biochimiche del secreto
prostatico come l’aumento del Ph, la
riduzione del tasso di componenti importanti
quali zinco, magnesio, acido
citrico, fosfatasi acida. Queste alterazioni
infl uenzano negativamente alcuni
parametri del liquido seminale, quali la
fl uidifi cazione, la viscosità e la motilità
degli spermatozoi. Si è visto, inoltre, che
l’aumento delle cellule infi ammatorie
(leucociti) nel liquido prostatico comporta
una progressiva diminuzione della
motilità degli spermatozoi, con conseguente
peggioramento della capacità
fecondante del liquido seminale.
Le modifi cazioni dello spermiogramma
che più frequentemente si verifi cano in
pazienti con prostatite cronica sono:
• oligozoospermia (ridotto numero di
spermatozoi)
• astenospermia (ridotta motilità degli
spermatozoi)
• agglutinazione degli spermatozoi
• necrozoospermia (tutti gli spermatozoi
eiaculati sono morti)
• teratozoospermia (aumento delle
forme immature e di alterazioni morfologiche).
Prostatiti e prostatovesciculiti croniche
possono inoltre essere associate ad alterazioni
ostruttive delle vie seminali, come
la stenosi dei dotti seminali.
I batteri gram negativi sono i principali
responsabili delle infezioni del trattogenitale maschile Escherichia coli, ad
esempio, è causa di circa il 20-30%
dei casi di epididimite acuta e di molti
casi di prostato-vesciculite cronica. Altri
batteri, come Ureaplasma Urealiticum
e Chlamydia Trachomatis, sono responsabili
di infezioni croniche sintomatiche
ed asintomatiche, associate ad infertilità.
È dimostrato che l’Ureaplasma U., ad
esempio, è in grado di legarsi agli spermatozoi,
con conseguente riduzione della
motilità, alterazione della morfologia e
riduzione della capacità di penetrazione
negli ovociti. Le infezioni da Chlamydia
T. costituiscono la più frequente tra le
Malattite Sessualmente Trasmesse (MST)
nel mondo. Nell’uomo può essere causa
di uretrite* ed epididimite* acuta, ed è
stata riscontrata in circa il 30% dei casi
di prostatite cronica ritenuta non batterica.
A seconda della localizzazione,
è in grado di causare stenosi parziale o
completa dei deferenti ed oligospermia
severa.
Da quanto detto, risulta chiaro quanto siainfettive nell’infertilità di coppia.
In particolare
nell’uomo, prostatiti croniche
possono presentarsi con una sintomatologia
lieve e batteri come Micoplasmi
e Chlamydia sono diffi cili da isolare se
non ricercati con metodiche specifi che.
Nella nostra esperienza, in una buona
percentuale di prostatiti croniche ritenute
abatteriche, è possibile identifi care
un’agente infettivo con un protocollo
diagnostico standardizzato.

Spermiocoltura

Il paziente è invitato a raccogliere, tramite masturbazione, il liquido seminale in un contenitore sterile, previa astinenza sessuale di 2-7 giorni.
Dove inoltre, prima della raccolta, eseguire una corretta igiene dei genitali e delle mani (per evitare la contaminazione del campione con germi della cute), detergere il glande e il meato uretrale esterno con garza sterile inumidita con antisettico, e svuotare la vescica (per eliminare la flora saprofitica uretrale).

Prostatiti e Spermiocoltura

Nella valutazione delle prostatiti si possono a volta rendere necessarie alcune indagini di laboratorio particolari. Una di queste è la spermiocoltura ,cioè lo studio del liquido seminale alla ricerca di eventuali agenti infettanti. Per eseguire una spermiocoltura il paziente deve prima lavare molto accuratamente i genitali esterni (per evitare che il liquido seminale possa essere contaminato con germi presenti sulla cute o sul glande) e quindi raccogliere il liquido seminale in un contenitore sterile per urina. Il medico procederà ad eseguire un esame colturale del liquido alla ricerca dei germi che più comunemente sono causa di infezione della prostata (Escherichia Choli, Enterococchi, Proteus, Mycoplasmi, Miceti, Trichomonas, Chlamidie, Gonococchi etc.) Se la coltura sarà positiva (cioè se si individua un germe responsabile dell'infezione) si procederà ad eseguire un antibiogramma, cioè a testare l'organismo isolato con vari antibiotici per individuare l'antibiotico più indicato per combattere quella specifica infezione. Purtroppo però questa metodica è gravata da un'alta percentuale di falsi negativi e di falsi positivi (casi cioè in cui nonostante sia presente una prostatite l'esame risulta negativo, e casi in cui la spermiocoltura risulta essere positiva nonostante non vi sia alcuna infezione). Il suo significato clinico deve essere pertanto valutato con molta attenzione, caso per caso. La situazione, inoltre, si complica perchè esistono anche delle "prostatiti abatteriche" in cui la spermiocoltura risulta non utile nè per la diagnosi nè per la terapia.

giovedì 11 febbraio 2010

Dieta e Cancro della Prostata

I dati scientifici dimostrano chiaramente che la dieta esercita un'influenza importante sul rischio di cancro della prostata. Il consumo frequente di carne e latticini è correlato ad un aumentato rischio riconducibile, almeno in parte, alla quantità ed al tipo di grassi che questi alimenti contengono. I prodotti animali sono carenti inoltre dei principi nutritivi protettivi presenti nella verdura e nella frutta [1, 2, 3]. Questa malattia è più rara tra le popolazioni che consumano molto riso, derivati della soia e verdure verdi e gialle, e tra i vegetariani [4, 5, 6, 7, 8]. I soggetti di sesso maschile appartenenti alla Chiesa Avventista del Settimo Giorno, dei quali circa la metà è vegetariano, hanno mostrato un rischio di sviluppare cancro alla prostata pari ad un terzo di quello della popolazione maschile in generale, ed i dati Scientifici a nostra disposizione suggeriscono che il rischio è tanto più basso quanto più precocemente nella vita venga instaurato un regime vegetariano [7, 8].

Fattori dietetici possono influenzare non solo l'incidenza di cancro alla prostata, ma anche la rapidità di decorso clinico, cioè la trasformazione da una piccola massa asintomatica ad un tumore allo stadio avanzato, con metastasi diffuse. La prevalenza di tumori in situ (piccole masse asintomatiche) varia tra i vari Paesi; il tasso di incidenza più basso è stato registrato a Singapore (13%) ed Hong Kong (15%), il più alto è in Svezia (31%) [9]. La prevalenza di tumore allo stadio avanzato, tuttavia, varia ancora di più. Mentre un soggetto Svedese di sesso maschile ha il doppio di probabilità rispetto ad un maschio di Hong Kong di essere portatore di tumore in situ prostatico, ha una probabilità più di otto volte maggiore di morire di cancro alla prostata [9]. Questi Studi suggeriscono che fattori ambientali, in particolare dietetici, possano giocare un ruolo importante nella progressione della malattia. Le diete basate su alimenti di origine vegetale non sono ricche solo in sostanze nutritive protettive, come i carotenoidi tipo il lycopene, che fornisce il caratteristico colore rosso ai pomodori. Sono anche molto povere in grassi. Un ridotto introito di grassi aiuta a prevenire eccessivi livelli di Testosterone. I soggetti di sesso maschile che consumano diete ad alto tenore di grassi hanno tipicamente elevati livelli plasmatici di Testosterone [10, 11, 12, 13]. Questi livelli ormonali così elevati non conferiscono alcun beneficio per la salute (non rendono l'uomo più "virile"). Per contro, possono stimolare eccessivamente le cellule prostatiche, aumentando il rischio di cancro.

IGF-I e Cancro della Prostata
Un rischio ulteriore di cancro è correlato ad una Proteina circolante denominata Insulinlike Growth Factor-I (IGF-I, fattore di crescita Insulino-simile I). Sebbene la presenza di una certa quantità di IGF-I nel sangue sia normale, elevati livelli ematici di questa Proteina sembrano correlati ad un aumento del rischio di cancro [14, 15, 16, 17]. L'IGF-I gioca un ruolo anche nella crescita cellulare, oltre a possedere altre funzioni, ed alcuni Studi Sperimentali mostrano come l'IGF-I favorisca la crescita di cellule cancerose [18, 19].

Il tipo di dieta influenza in modo rilevante i livelli di IGF-I. In generale, un eccessivo introito calorico o Proteico aumenta i livelli circolanti di IGF-I, e l'inclusione di prodotti caseari nella dieta merita particolare attenzione. Secondo una Rassegna pubblicata dal World Cancer Research Fund e l'American Institute for Cancer Research, almeno undici Studi di Popolazione sull'uomo hanno linkato il consumo di latticini al cancro alla prostata [20]. Gli individui con aumentato consumo di latticini hanno solitamente livelli ematici di IGF-I più elevati. Dopo uno Studio condotto a Sheffield, Inghilterra, su soggetti di sesso femminile dodicenni che aveva riscontato come un aumentato consumo di latticini comportasse un'elevazione dei livelli ematici di IGF-I, un altro Studio condotto su soggetti adulti, di entrambo i sessi, ha dimostrato come l'aggiunta di tre porzioni giornaliere da otto once (circa 240 gr) di latte scremato od all'1% di grassi per dodici giorni fosse associato ad un incremento delle concentrazioni plasmatichedi IGF-I pati al 10% [21, 22]. Per contro, una dieta a base di cibi di origine vegetale si è mostrata in grado di ridurre i livelli plasmatici di IGF-I [23].

La conclusione più importante che si può trarre da quanto esposto è che mentre il consumo di carne e latticini sembra aumentare il rischio di cancro, le diete ricche in frutta e verdura riducono questo rischio, conferendo ai soggetti di sesso maschile la possibilità di controllare il proprio stato di salute meglio di quanto possano diversamente fare.