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lunedì 29 aprile 2019

Disfunzione erettile ed artrite, l’infiammazione influenza la vita sessuale


3 aprile 2019  18:34 SCIENZE
Disfunzione erettile ed artrite, l’infiammazione influenza la vita sessuale
L’artrite influenza negativamente la nostra vita sessuale incrementando il rischio di disfunzione erettile nel maschio e di calo di desiderio sessuale nella donna. Gli esperti ci spiegano quali sono le conseguenze negative di questa infiammazione delle articolazioni attraverso uno studio che sottolinea l’importanza di non valutare nessun sintomo quando abbiamo
L’artrite ha un impatto negativo sull’intimità di coppia e disturba la vita sessuale sia degli uomini, sia delle donne. Questo è quanto sostengono i ricercatori che ci spiegano il perché all’interno del loro studio intitolato “Comparing Proxy, Adolescent and Adult Assessments of Functional Ability in Adolescents with Juvenile Idiopathic Arthritis”. Ecco cosa c’è da sapere sugli effetti dell'artrite sulla nostra vita sessuale.
Infiammazione e sesso. Gli scienziati spiegano che le persone che vivono con l’artrite, una condizione infiammatoria che coinvolge le articolazioni e che si presenta con dolori, rigidità articolare, gonfiore e arrossamento, mostrano una maggior probabilità di sviluppare problemi a livello sessuale, come disfunzione erettile, rispetto ad altri individui. Per entrambi i sessi, fanno sapere, i fattori correlati alla malattia, come il dolore, l’affaticamenti e la limitazione della mobilità, contribuiscono alla disfunzione sessuale e alla riduzione in generale del desiderio sessuale.
Disfunzione erettile e artrite. L'artrite incrementa nell'uomo il rischio di disfunzione erettile che è dunque il principale fattore di disfunzione sessuale, mentre per quanto riguarda le donne, a creare disturbi alla vita di coppia a letto sarebbe lo stress, che diminuirebbe il desiderio sessuale.
Conclusioni. Valutare gli effetti dei problemi di salute sulla vita sessuale è importante per capire il benessere di un individuo, la salute sessuale e le relazioni vissute positivamente sono fattori chiave per vivere serenamente. Non dovremmo dunque sottovalutare le conseguenze di condizioni come l’artrite, così come di altre, e, nel caso in cui dovessimo avere qualche problema di vita sessuale, dovremmo considerare la possibilità che ad influire sia il nostro stato di salute generale.



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mercoledì 23 maggio 2018

La disfunzione erettile si combatte anche a tavola e in palestra.

LA DISFUNZIONE ERETTILE SI COMBATTE ANCHE A TAVOLA E IN PALESTRA
La disfunzione erettile si può combattere anche a tavola e in palestra. È questo il messaggio che proviene da un gruppo di ricercatori dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”.
Obesità, sindrome metabolica e diabete, tre condizioni caratterizzate dall’accumulo di grasso addominale, si associano a disfunzioni sessuali. Queste disfunzioni possono interessare entrambi i sessi, ma ci sono evidenze veramente conclusive solo per quanto riguarda gli uomini e la disfunzione erettile. “Questo è in linea con la complessità della sessualità femminile, che dipende fortemente da fattori psicologici e culturali rispetto alla sessualità maschile” spiega Maria Ida Maiorino, autore principale dell’articolo pubblicato sul Journal of Endocrinological Investigation.
L’adiposità viscerale causa uno stato di debole infiammazione cronica che, a sua volta, promuove insulino-resistenza, iperlipidemia e ipogonadismo. Ne conseguono una disfunzione dell’endotelio, una ridotta disponibilità di ossido di azoto e un deficit della funzione erettile. Gli uomini con sindrome metabolica hanno un rischio 2,6 volte più alto di soffrire di disfunzione erettile e i pazienti diabetici manifestano problemi di erezione 10-15 anni prima degli altri uomini. Inoltre, la disfunzione erettile rivela l’avvicinarsi di eventi cardiovascolari, tanto da essere definita “il canarino nella miniera di carbone”.
Il gruppo di Katherine Esposito ha dimostrato che modifiche negli stili di vita, quali adottare la dieta mediterranea e dedicarsi ad esercizi fisici regolari, possono ridurre l’infiammazione associata alle malattie metaboliche. Perdendo peso, riducendo il consumo di grassi saturi aumentando quello di grassi monoinsaturi e fibre e facendo attività fisica moderata, il 55 per cento degli uomini ottiene un ripristino della funzione erettile.
Maiorino MI, Bellastella G,et al. From inflammation to sexual dysfunctions: a journey through diabetes, obesity, and metabolic syndrome. Journal of Endocrinological Investigation 2018 Mar 16. doi: 10.1007/s40618-018-0872-6

lunedì 29 gennaio 2018

Vino rosso e sesso contro il tumore alla prostata

https://www.greenme.it/mangiare/alimentazione-a-salute/26346-tumore-prostata-sesso-vino-rosso

Vino rosso e sesso contro il tumore alla prostata. È questo il suggerimento che arriva dagli urologi italiani, secondo cui la prevenzione contro questo cancro così diffuso può passare (anche) per il vino e una regolare vita sessuale.
Sulla base di specifici studi scientifici pubblicati sulla rivista “International Journal of Cancer”, i medici – riuniti a Pozzuoli (Na) per il convegno “Comunicare la prevenzione – vino, prostata e sessualità”, hanno decretato l’utilità di simili elementi per il loro effetto protettivo, che sembra anche essere più forte contro le forme più aggressive della malattia.
Il tumore della prostata è uno tra i tumori più diffusi nella popolazione maschile e rappresenta circa il 15% di tutti i tumori diagnosticati nell’uomo: ogni anno si contano circa 35mila nuovi casi in Italia, ma il rischio che la malattia abbia un esito letale è poco elevato, soprattutto se si interviene in tempo con una diagnosi precoce.
A dimostrarlo sono i dati relativi proprio al numero di uomini ancora in vita dopo cinque anni dall’accertamento di tumore – in media il 91% – una percentuale tra le più elevate tra i tumori, grazie alla diagnosi precoce realizzata sempre più di frequente, da quando è stato introdotto nella pratica clinica il dosaggio del PSA.
Ebbene, bere un bicchiere di vino rosso al giorno potrebbe ridurre il rischio di sviluppare un tumore della prostata, tanto che secondo lo studio, "gli uomini che consumano quattro o più bicchieri di vino rosso alla settimana hanno un rischio di cancro della prostata ridotto del 50%. Per quanto riguarda i tipi di tumore più aggressivo, l’incidenza risulta ridotta addirittura del 60%”.
Il merito sarebbe di un antiossidante, il “resveratrolo”, che abbonda nella buccia dell’uva rossa. Il consumo moderato di vino rosso, sembra proteggere anche dai disturbi correlati all’altra patologia della prostata, la ipertrofia prostatica benigna, di cui soffre più del 50% degli uomini al di sopra dei 60 anni (incidenza che sale al 90% dopo i 70 anni).
E il sesso cosa c’entra? Sulla scia di un altro studio, si è confermata questa volta l’ipotesi che bere moderatamente vino significhi stimolare molte sensazioni e accentuare le percezioni sensoriali nel corpo umano. Ciò comporta senza dubbio una maggiore propensione all’intimità.
Un po’ di vino, insomma, aumenterebbe il piacere sessuale favorendo l’erezione dell’uomo e ritardando lievemente il riflesso eiaculatorio. “Le sostanze in esso contenute aiutano il funzionamento delle arterie favorendo l’afflusso di sangue nel membro maschile, favorendo il rilasciamento della muscolatura liscia dei corpi cavernosi, e la conseguente erezione”, dicono gli esperti.
Quel che vi dovete ricordare, in ogni caso, è che non bisogna mai esagerare con l’alcol e in genere per prevenire al meglio questo e tutti i tipi di tumore è bene regolare l’alimentazione, limitare i grassi saturi e i fritti, i formaggi e le bevande troppo zuccherate e variare con frutta, verdura e tanta acqua.

mercoledì 17 gennaio 2018

UROLOGO ANDROLOGO MARIO DE SIATI ( BARI BRINDISI FOGGIA TARANTO )

Il Dott. Mario De Siati si è laureato nel 1985 in Medicina e Chirurgia con il massimo dei voti presso l'Università degli Studi di Bari "Aldo Moro", successivamente nel 1993 presso il medesimo ateneo ha conseguito la specializzazione in Urologia. Dal 1991 al 2004 ha lavorato presso prestigiosi ospedali in Veneto, fino al 2012 presso la Clinica Urologica e Centro Trapianti di rene dell'Università degli Studi di Foggia. Dal 2014 è Direttore FF della Struttura Complessa di Urologia dell'Ospedale della Murgia. Ha svolto volontariato sanitario in Uganda, Ghana e Burundi. Inoltre ha effettuato numerose pubblicazioni su riviste Nazionali ed Internazionali. Ha esperienza nei più importanti campi della Urologia e dell'Andrologia.


 OSPEDALE DELLA MURGIA 
Strada statale 96 altamura Gravina - 70022 Altamura (Bari) (BA) - 
 STUDIO POLISPECIALISTICO 
Via Lago D´Arvo 31 - 74100 Taranto (TA) - 
 Studio Tricarico-Dilerma Srl 
Strada Privata Stasolla 8 - 70022 Altamura (Bari) (BA) - 
 Poliambulatorio Specialistico 
Via Numa Pompilio 21 - 72100 Brindisi (BR) - Mappa
 Arbor Vitae - Studio Polispecialistico 
Via Crostarosa 25 - 71100 Foggia (FG) - 

martedì 16 gennaio 2018

I pazienti con oligospermia grave e varicocele possono trarre vantaggio dalla varicocelectomia

I pazienti con oligospermia grave e varicocele possono trarre vantaggio dalla varicocelectomia
16/01/2018Sintesi della letteratura
A CURA DIAgenzia Zoe
Messaggi chiave
La varicocelectomia consente ai pazienti con oligospermia grave di recuperare una conta totale degli spermatozoi mobili (TMSC) sufficiente per accedere all’inseminazione intrauterina (IUI), senza dover ricorrere alla fertilizzazione in vitro con iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi (IVF-ICSI).I costi dell’intervento chirurgico e della IUI sono molto inferiori a quelli necessari per affrontare una IVF-ICSI, preceduta o meno da varicocelectomia.
Descrizione dello studio
Sono stati raccolti in maniera prospettica i dati di 17 uomini con TMSC <2 milioni sottoposti a varicocelectomia subinguinale microchirurgica tra settembre 2015 e aprile 2017.Pazienti con azoospermia e coppie in cui era coinvolto un fattore di infertilità femminile sono stati esclusi.A tutti i pazienti sono stati effettuati test ormonali, oltre alla TMSC prima dell’intervento, 3 mesi dopo e poi a intervalli di altri 3 msi.Le stime del rapporto di costo ed efficacia per le tecniche di riproduzione assistita (ART) si sono basate sui costi totali per il sistema sanitario e limitati al primo tentativo di fecondazione.
Risultati principali
Dopo la varicocelectomia, 14 uomini su 17 hanno avuto miglioramenti della loro TMSC, con un cambiamento medio di concentrazione, motilità e TMSC degli spermatozoi rispettivamente di 4,3 ± 4,7 milioni/mL, 12% ± 17,2%, and 6,0 ± 8,5 milioni.Concentrazione, motilità e TMSC medie degli spermatozoi dopo l’intervento erano 4,2. ± 2,1 milioni/mL, 14,0% ± 4%, e 3,6 ± 2,1 milioni, rispettivamente, con P = .002 per la concentrazione, P = .01 per la motilità e P = .01 per la TMSC.Con l’intervento, 10 uomini su 17 sono risaliti oltre la soglia dei 2 milioni di TMSC. Di questi, 1 ha ottenuto una gravidanza spontanea e 7 si sono sottoposti a un ciclo di IUI, da cui sono risultate altre 2 gravidanze.Il costo per gravidanza di chi si è sottoposto a IUI dopo varicocelectomia è stato stimato in $35,924, in chi si è sottoposto a IVF-ICSI dopo varicocelectomia $93,203 e in uomini che non hanno corretto il varicocele prima di sottoporsi a IVF-ICSI $45,795.
Perché è importante
Poiché la maggior parte dei centri per la fertilità usano la soglia dei 2 milioni di TMSC per l’accesso all’IUI, la possibilità di risalire oltre questo valore tramite un piccolo intervento come la varicocelectomia, per i pazienti con varicocele clinico, significa poter ridurre i costi e l’invasività della procedura di ART.
Limiti
Il campione di pazienti valutati dallo studio (n.17) è molto ristretto.I costi, stimati sulla base di precedenti metanalisi, si riferiscono alla realtà statunitense, non direttamente traslabile all’Italia.
Dubin J, Greer A et al. Men with Severe Oligospermia appear to benefit from Varicocele Repair: a Cost-effectiveness Analysis of Assisted Reproductive Technology. Urology 2018; 111: 99-103. https://doi.org/10.1016/j.urology.2017.10.010


lunedì 15 gennaio 2018

Tumore della prostata e grassi animali

Le scoperte, pubblicate oggi suNature Genetics e Nature Communications, sono dei ricercatori della Harvard University diretti dall’italiano Pier Paolo Pandolfi e dell’Institute of Oncology Research dell’università della Svizzera italiana di Bellinzona diretto da Andrea Alimonti

di AGNESE FERRARA

15 Gennaio, 2018

UN'ALIMENTAZIONE ricca di grassi di derivazione animale è in grado di attivare le metastasi e, di fatto, rendere mortale il cancro. Se la correlazione statistica fra dieta e tumori è già stata più volte dimostrata, i ricercatori del Beth Israel Deaconess Medical Center (Bidmc) della Harvard Medical School di Boston, hanno scoperto i meccanismi molecolari con cui le cellule del cancro alla prostata avviano il processo di metastasi, ovvero si diffondono in altre parti del corpo. Identificati questi processi indotti dai grassi sono anche riusciti a bloccarli somministrando dei farmaci allo studio per combattere l’obesità. Per la prima volta quindi si riesce a intervenire sulla proliferazione tumorale. La scoperta è frutto di due ricerche pubblicate oggi su  Nature Genetics e Nature Communications, e punta il dito sull’ambiente come fattore chiave in grado di interagire direttamente sui tumori rendendoli più aggressivi, oltre ai fattori genetici.  Sempre su Nature Genetics di oggi un’altra indagine, condotta all’ Institute of Oncology Research dell’università della Svizzera italiana di Bellinzona conferma l’importanza dei grassi nello sviluppo del tumore alla prostata aggiungendo un ulteriore tassello alla scoperta.
 
“Il tumore alla prostata viene detto indolente da noi ricercatori perché cresce piano restando latente - spiega Pier Paolo Pandolfi, direttore del Cancer Center Institute  al Bidmc, che ha diretto le scoperte - . La sua mortalità è calata del 40% negli Stati Uniti in questi ultimi 25 anni ma, se avvia le metastasi, diventa inevitabilmente fatale e la correlazione con il tipo di alimentazione era già stata ipotizzata tanto che la diffusione di questo tumore è molto più elevata negli Stati Uniti che in altre nazioni dove si assumono meno grassi di derivazione animale, come nei paesi asiatici, tipo il Giappone, dove l’incidenza è di circa il 10%. Quando però gli asiatici si trasferiscono negli Stati Uniti l’incidenza cresce al 40% avvicinandosi a quella di chi nasce qui”.
 
ARCHIVIO Il tumore alla prostata

Pandolfi precisa: “Sapevamo che il gene soppressore PTEN svolgeva un ruolo importante nella prevenzione del cancro alla prostata. La sua perdita parziale di attività infatti si riscontra nel 70% dei casi e, quando si perde del tutto, partono le metastasi ma le nostre osservazioni di laboratorio ci indicavano che non bastava l’assenza di questo gene a innescarle. Così abbiamo cercato di identificare altri geni coinvolti nel processo e abbiamo notato che un altro soppressore del tumore, il PML, tendeva ad essere presente nei tumori localizzati e non più in quelli già diffusi. Abbiamo visto che nel 20% dei tumori con metastasi erano carenti sia il gene soppressore PTEN che il PML. Abbiamo generato tumori senza PTEN a quelli senza PTEN e PML, questi ultimi erano molto più aggressivi e metastatizzavano. Inoltre abbiamo scoperto che le cellule senza PTEN e PML producono da sole grandi quantità di lipidi. Dunque, ci siamo detti, il grasso nei tumori senza PTEN e PML potrebbe essere alla base delle metastasi ed è sul ruolo del grasso nel favorire le metastasi che abbiamo concentrato le nostre ricerche”.
 
Gli scienziati avevano ancora un nodo da sciogliere: come mai nei topi di laboratorio il tumore alla prostata produce metastasi molto raramente? Da qui l’intuizione: se fosse l’alimentazione dei topi a proteggerli dall’aggressività del tumore? Afferma Pandolfi: “Ci siamo resi conto che i topolini di laboratorio mangiano essenzialmente vegetali. E’ una dieta quasi vegana di sicuro piu’ vicina alla dieta asiatica che alla “dieta McDonald’s”. Abbiamo quindi provato a introdurre nella loro dieta i grassi animali e, per la prima volta, sono comparse le metastasi anche in quei tumori indolenti, non metastatici, in cui manca la sola funzione del gene PTEN”.
 
Una volta ottenuto un modello di ricerca e individuati i meccanismi molecolari alla base del processo che avvia le metastasi gli scienziati hanno somministrato ai topi un farmaco attualmente in fase di studio per il trattamento dell’obesità, le fatostatine, che bloccano la sintesi dei grassi. Sorprendentemente, la molecola ha causato una profonda regressione del tumore così come la completa soppressione delle metastasi.  “Alcuni dei farmaci anti-obesità, fatostatine o analoghi, agiscono bloccando la produzione dei lipidi, - precisa Pandolfi. – “Sono sostanze molto ben tollerate e stiamo organizzando ora i trials clinici sull’uomo”.

I ricercatori stanno anche cercando di capire quali siano nel dettaglio i lipidi cattivi che aumentano l’aggressività dei tumori, ma anche se ci siano lipidi buoni che possano avere un ruolo protettivo nella prevenzione dei tumori e nel bloccarne la loro progressione.
 
Sulla produzione esagerata di grasso da parte delle cellule metastatiche si sono concentrati anche i ricercatori dell’Institute of Oncology Research dell’università della Svizzera italiana diretti da Andrea Alimonti con una indagine pubblicata sempre su Nature Genetics di oggi.  Il team svizzero, insieme a ricercatori spagnoli ed inglesi, ha scoperto infatti che anche mitocondri, che riforniscono di energia le cellule del tumore alla prostata, hanno bisogno soprattutto di grassi più che di glucosio, cioè zuccheri come si è creduto fino ad oggi. “Il metabolismo dei lipidi funziona da benzina per sostenere la macchina tumorale, - spiega Andrea Alimonti, - inibendo l’enzima mitocondriale PDC nelle cellule tumorali, il contenuto di lipidi cala drasticamente e le cellule maligne non proliferano più. Abbiamo perciò individuato una serie di molecole in grado di bloccare selettivamente questo enzima senza danneggiare le cellule normali i diversi modelli sperimentali”. La scienza si concentra adesso su come affamare i tumori, levando loro la fonte primaria dell’energia e dello sviluppo, cioè i ‘grassi cattivi’.    
   

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Ibuprofene: può causare infertilità nei giovani maschi

http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=57728

Si tratta di un allarme importante, visto il numero di soggetti potenzialmente interessati, che arriva da uno studio internazionale pubblicato su PNAS. L’ibuprofene, uno degli analgesici più consumati al mondo, può provocare uno stato di ipogonadismo compensato nei giovani maschi. In pratica, il farmaco andrebbe ad inibire l’attività endocrina del testicolo, provocando un calo del testosterone che l’organismo cerca di compensare aumentando la produzione dell’ormone ipofisario LH. Questa condizione, osservata finora solo nell’anziano, può provocare disturbi a livello fisico (depressione, aumentato rischio di ictus e scompenso cardiaco) e riproduttivo anche nei giovani.09 GEN - È uno degli analgesici più utilizzati al mondo, uno di quei farmaci di cui spesso di fa anche un incredibile abuso (in diversi Paesi è disponibile anche come OTC). Le possibili conseguenze negative sulla mucosa gastrica e quelli di aumento del rischio di ictus o di infarto, comuni a tutti i FANS sono ben note. Ma adesso, uno studio appena pubblicato su PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America), getta luce su un nuovo possibile effetto indesiderato, che riguarda i giovani maschi.

 
I risultati di questo studio internazionale (vi hanno contribuito ricercatori di università danesi, francesi e cinesi) suggeriscono che l’assunzione di ibuprofene si può associare ad alterazioni della salute riproduttiva nell’uomo, in particolare nei giovani maschi. Tale fenomeno sarebbe imputabile agli effetti anti-androgeni degli analgesici. A questa conclusione gli autori dello studio sono giunti con una combinazione di trial clinici controllati, condotti con approccio sia ex vivo che in vitro.

L’assunzione di ibuprofene in particolare sarebbe responsabile dell’alterazione di una serie di importanti aspetti della funzione testicolare, tra i quali la produzione di testosterone. Più in dettaglio, questo farmaco determina una repressione trascrizionale selettiva delle cellule endocrine del testicolo, fatto questo che a sua volta provoca un aumento degli ormoni ipofisari . Il risultato di questa complessa ‘reazione a cascata’ endocrina è uno stato di ‘ipogonadismo compensato’, situazione finora osservata solo nel maschio anziano e associata a disturbi sia fisici, che riproduttivi. Secondo gli autori si tratta di un effetto reversibile per assunzioni di breve durata ma non è escluso che per assunzioni prolungate questi effetti possano diventare irreversibili.
 
Si tratta di uno studio importante sia perché attira l’attenzione su un effetto indesiderato dei FANS finora poco conosciuto, sia perché che riguarda potenzialmente un enorme numero di persone. Questo lavoro fornisce inoltre una spiegazione, almeno parziale, del crescente fenomeno dei disturbi riproduttivi maschili che affligge il mondo occidentale e che risulta ancora in gran parte inspiegabile.
Erma Z. Drobnis, professoressa di medicina riproduttiva e fertilità presso la University of Missouri (Columbia, USA), intervistata dalla CNN per un commento su questo studio ricorda che è ormai noto come alcuni farmaci abbiano un effetto negativo sull’apparato riproduttivo maschile (testosterone, oppioidi, antidepressivi, antipsicotici, immuno-modulatori, cimetidina) ma che raramente i medici ‘ricordano’ di far cenno a questi effetti indesiderati. I potenziali padri insomma dovrebbero evitare di assumere acetaminofene, cimetidina e adesso anche ibuprofene, secondo l’esperta.
 
Studi condotti in passato hanno dimostrato che l’esposizione durante la vita fetale ad analgesici deboli (aspirina, acetaminofene, ibuprofene) si associa ad effetti anti-androgenici e a malformazioni congenite; finora non erano noti però gli effetti di questi anti-dolorifici da banco nell’adulto.
 
Lo studio si PNAS in dettaglio
In questo lavoro pubblicato su PNAS gli autori hanno dimostrato che la somministrazione di ibuprofene a giovani maschi provoca uno stato di ‘ipogonadismo compensato’, condizione frequente nell’anziano e foriera di disturbi sia fisici che della sfera riproduttiva.
L’ibuprofene viene spesso somministrato agli atleti (compresi quelli olimpici e i giocatori di calcio) prima di un evento per prevenire i dolori. Per questo i ricercatori hanno voluto indagare se questa prassi, ormai consolidata, potesse provocare delle conseguenze ai soggetti che fanno uso abituale di questi farmaci. A tale scopo hanno arruolato 31 maschi (volontari) di età compresa tra i 18 e i 35 anni; a 14 di loro è stata somministrata una dose di 600 mg di ibuprofene due volte al giorno (quella normalmente assunta dagli atleti, nonché il massimo dosaggio raccomandato nel foglietto illustrativo del farmaco) per due settimane; gli altri 17 soggetti fungevano da gruppo di controllo.
 
Al termine di questo periodo, i livelli dell’ormone ipofisario LH (ormone luteinizzante) e di ibuprofene sono risultati correlati, mentre parallelamente è risultato diminuito il rapporto testosterone/LH (segno di una disfunzione testicolare). Queste alterazioni ormonali descrivono appunto la condizione di ipogonadismo compensato che, oltre a determinare disturbi della sfera riproduttiva può provocare depressione ed esporre ad un aumentato rischio di scompenso cardiaco e ictus.
 
In una seconda parte dello studio gli autori hanno utilizzato degli espianti di testicolo adulto che sono stati esposti o meno all’ibuprofene; in questo modo è stato possibile dimostrare che l’esposizione all’ibuprofene riduce l’attività endocrina delle cellule di Sertoli e di Leydig del testicolo; la produzione di testosterone risulta ridotta attraverso la repressione trascrizionale. Lo stesso effetto è stato osservato in una linea cellulare steroidogenica umana.
 
Maria Rita Montebellihttp://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=57728www.quotidianosanita.itibuprofene infertilità