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mercoledì 27 marzo 2013

Terapia medica della infertilità maschile

http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_FertilitaAbstract_4_fileAbstract_itemAbstract_0_file.pdf



Giovanni Corona, Linda Vignozzi e Mario Maggi
U.O di Medicina della Sessualità e Andrologia, Università degli Studi di
Firenze

Nonostante il fattore maschile rappresenti il problema principale o un possibile cofattore in oltre il 50% dei
casi di infertilità di coppia, purtroppo la terapia medica riveste un ruolo estremamente limitato nella
gestione del paziente infertile.
In presenza di un ipogonadismo ipogonadotropo la terapia di supporto può avvalersi sia dell’uso di
gonadotropine sia dell’utilizzo di sistemi più complessi mediante GnRH in uso continuo attraverso pompe
di infusione. La seconda possibilità, tuttavia, non sembra offrire maggiori vantaggi rispetto all’uso di una
terapia sottocutanea più pratica e soprattutto meno costosa a base di gonadotropine. Al fine di ottenere
una buona ripresa della spermatogenesi occorre un utilizzo combinato di LH (1500-5000 UI) e di FSH (75-
150 UI) in 2-3 somministrazioni settimanali. La scelta di preparati ottenuti con tecniche ricombinanti non ha
mai dimostrato una maggiore efficacia nella ripresa della spermatogenesi quando paragonata all’uso di
gonadotropine estrattive. I tempi di attesa medi per una ripresa di una completa spermatogenesi variano da
soggetto a soggetto con risposta clinica stimabile tra 6 e 12-24 mesi. In media tale approccio è in grado di
garantire un successo in termini di gravidanza in circa il 50% dei casi sebbene la qualità del liquido seminale
non sia sempre ottimale e richieda comunque il supporto di tecniche di fertilizzazione assistita. Il fattore
prognostico positivo principale è rappresentato dal volume testicolare iniziale.
Dati recenti dimostrano come anche una terapia sostitutiva con testosterone possa essere di giovamento in
casi selezionati di ipogonadismo ipogonadotropo su base congenita. In particolare è possibile ipotizzare un
ruolo del testosterone nella maturazione dei sistemi di controllo della secrezione del sistema GnRH,
gonadotropine con una ripresa di una normale funzionalità dell’asse alla sospensione della terapia
sostitutiva.
Una particolare forma di ipogonadismo ipogonadotropo è quello che si osserva nel paziente obeso o con
diabete e sindrome metabolica. I meccanismi fisiopatologici implicati in tali condizioni sono probabilmente
molteplici e non ancora del tutto noti. Un ruolo importante sembra essere svolto dagli aumentati livelli
estrogenici legati ad una maggiore aromatizzazione secondaria all’incremento della massa adiposa. Tale
condizione comporta un feed-back negativo ipofisario con conseguente sviluppo di un ipogonadismo
ipogonadotropo. In linea con tali ipotesi l’utilizzo di antiestrogeni come il clomifene o il tamoxifene o
inibitori dell’aromatasi è in gradi di ripristinare normali valori di LH e testosterone totale in soggetti obesi.
Il nostro gruppo ha, inoltre, contribuito a chiare come gli estrogeni giochino un ruolo chiave anche nella
regolazione del riflesso eiaculatorio maschile ed in particolare della contrattilità epididimaria. Farmaci
antiestrogeni come il clomifene e il tamoxifene agiscono come antagonisti estrogenici ipotalamici ma
esercitano un ruolo di agonisti a livello epididimario favorendo un incremento della conta spermatica anche
in pazienti con infertilità idiopatica.
Altra condizione clinica che può giovarsi della terapia medica è rappresentata dalla presenza di infezioni
genitali. Tuttavia, mentre il trattamento di infezioni acute sintomatiche del tratto genitale Incontri educativo-informativi sul tema della fertilita’
Inquadramento clinico-diagnostico dell'infertilità – 02 luglio 2012
maschile, sembra essere di giovamento nel miglioramento dei parametri seminali, non è chiaro ancora il
ruolo giocato dalla terapia antibiotica in caso di infezioni croniche asintomatiche sia in presenza sia in
assenza di una positività culturale.
Nonostante il miglioramento delle tecniche diagnostiche purtroppo ancora in oltre il 30% dei maschi
infertili non è possibile formulare una diagnosi eziologica. La terapia medica in questi casi riveste un ruolo
minoritario. La terapia con FSH può trovare giovamento in pazienti con valori di FSH inferiori a 8 UI,
tuttavia come sottolineato da recenti dati di meta-analisi, i dati a disposizione sono ancora troppo pochi per
proporre un uso generalizzato di tale approccio. L’uso di farmaci antiossidanti è largamente utilizzato nel
paziente con infertilità idiopatia. Purtroppo non esistono studi convincenti controllati che dimostrino una
reale efficacia in termini di pregnancy rate.
In conclusione la terapia medica nel paziente maschio infertile riveste attualmente un ruolo estremamentelimitato. Ulteriori studi sono necessari per meglio chiarire il ruolo di farmaci ampiamente utilizzati come gli antiossidanti..

Infertilità di coppia


http://www.gravidanzaonline.it/infertilita/sterilita_maschile.htm


Sterilità maschile


In passato si riteneva che la mancanza di concepimento dipendesse soprattutto dalla donna. Gli studi condotti negli ultimi anni hanno invece dimostrato che almeno nel 50% dei casi è l’uomo ad avere una ridotta capacità riproduttiva. Ne è una testimonianza l’incremento esponenziale della richiesta di analisi seminale dalla fine degli anni ’60 ad oggi. Secondo i dati del Laboratorio di Semiologia e Immunologia della Riproduzione dell’Università La Sapienza di Roma sono oggi quasi 5.000 le richieste annuali di analisi seminali, mentre solo alla fine degli anni ’60 non si arrivava nemmeno a 500 richieste l’anno.

Si può distinguere tra infertilità maschile primaria, quando l’uomo non ha mai fecondato alcuna donna, e infertilità maschile secondaria, quando l’uomo ha già fecondato una donna (partner attuale o precedente). In questo secondo caso, normalmente le chance di recuperare la fertilità sono maggiori rispetto all’infertilità primaria.

Epidemiologia


Stimare la percentuale di coppie infertili nel mondo e in Italia risulta particolarmente problematico, anche alla luce delle inevitabili difficoltà che comporta quantificare le nuove coppie che si formano ogni anno al di fuori del matrimonio.Secondo una stima dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa il 10-20% delle coppie nei paesi industrializzati soffre di problemi di fertilità.

Per quanto riguarda in particolare l’infertilità maschile in Italia, un dato certo è che, nonostante negli ultimi anni gli uomini abbiano preso maggior coscienza del loro ruolo primario nelle difficoltà legate al concepimento, la quasi totalità (90%) non fa prevenzione e non consulta l’andrologo preventivamente, dato oltremodo allarmante tenendo conto che la maggior parte dei casi di infertilità maschile hanno origine da patologie uro-genitali, che in diversi casi si possono prevenire o curare.

Un secondo dato preoccupante è che ben il 50% degli uomini italiani non si sottopone a visita andrologica nemmeno a seguito di una diagnosi di infertilità. Sebbene l’infertilità maschile diventi oggetto di attenzione da parte degli uomini solo nel momento in cui cercano un figlio, i problemi che potranno portare ad alterazioni riproduttive possono sorgere fin da bambini. Si stima infatti che il 50% dei giovanissimi soffra di affezioni genitali. Durante la visita di leva, si scopre che il 10-20% dei ragazzi soffre di varicocele. Intorno ai 18 anni, 1 ragazzo su 2 è a rischio infertilità.

Fattori di rischio


Sono numerosi i fattori che possono influenzare negativamente, per tutto l’arco della vita di un uomo, la sua capacità riproduttiva, determinando situazioni di infertilità transitorie o definitive.

Segnaliamo di seguito i principali fattori di rischio che possono portare ad infertilità maschile. Alcuni di questi fattori possono essere transitori e pertanto non incidere in maniera definitiva sulla capacità riproduttiva dell’uomo:

Febbre


Quando la febbre supera i 38,5 °C può alterare la spermatogenesi per un periodo fra i 2 e 6 mesi.

Terapie (es. antitumorali)


Alcuni tumori e il loro trattamento possono avere un effetto soppressivo sulla fertilità. L’arresto definitivo della spermatogenesi può essere causato dall’irradiazione in zona genitale o da farmaci antitumorali (es. agenti anchilanti).

Trattamenti chirurgici


Una depressione temporanea della spermatogenesi può verificarsi a seguito di un intervento chirurgico (sopratutto se effettuato in anestesia generale) e durare 3-6 mesi. Alcuni interventi sull’apparato genito-urinario possono determinare in alcuni casi una riduzione definitiva della fertilità

Infezioni urinarie


Episodi ricorrenti e trattamenti inadeguati possono essere associati a danni testicolari e epididimari per reflusso ascendente con conseguente scarsa qualità del liquido seminale.

Malattie trasmesse sessualmente


Alcune malattie a trasmissione sessuale, quali la sifilide, la gonorrea, le infezioni da Chlamydia trachomatisLymphogranuloma venereum e il virus HPV, possono rappresentare fattori di rischio per la fertilità. Occorre indagare durante l’anamnesi del paziente il numero di episodi, il trattamento e i mesi trascorsi dall’ultimo episodio.

Epididimite


Anche un’infiammazione dell’epididimo rientra tra i fattori di rischio. L’epididimo è una formazione allungata posta lungo il margine posteriore del testicolo, i cui dotti allungati servono per il deposito, il transito e la maturazione degli spermatozoi. Si deve distinguere tra epididimo-orchite (dolore acuto, grave e generalizzato) e epididimite cronica (dolore subdolo, episodico, solo talora ben localizzato e ricorrente).

Orchite postparotitica


L’orchite è solitamente associata alla parotite (orecchioni), ma può comparire anche in caso di infezioni virali da coxsackie o herpes e più raramente forme batteriche. La parotite prima della pubertà, così come la parotite che non determina orchite, non interferiscono con la fertilità e non sono quindi considerati veri fattori di rischio.

Varicocele


La dilatazione venosa associata al varicocele si associa talora all’infertilità, ma non è ancora noto il rapporto causa/effetto delle due condizioni. Rispetto all’influenza sulla fertilità del varicocele, è necessaria un’anamnesi molto approfondita del paziente.

Criptorchidismo


La ritenzione testicolare monolaterale o bilaterale influenza in modo variabile la fertilità, a seconda del tipo di patologia, della sua durata nel tempo, del momento e del tipo degli interventi effettuati per correggerla. L’intervento precoce prima dei due anni è oggi ritenuto indispensabile.

Traumi e torsioni testicolari


Sono fattori di rischio in particolare i casi accompagnati da danno tissutale, come l’ematoma scrotale, emospermia, ematuria, atrofia testicolare conseguente al trauma. Per quanto riguarda i microtraumi, solitamente più comuni, non è nota la loro azione.

Tra i fattori che incidono sulla difficoltà di un uomo ad avere figli, oltre a quelli fisiologici, ci sono anche lo stress, i fattori ambientali (inquinamento) e gli stili di vita scorretti (abuso di alcool, fumo, uso di droghe, eccesso di caffè).

Alcuni di questi fattori si presentano più frequentemente in età specifiche. Ad esempio:

Prima del concepimento: Uso di farmaci da parte della madre Fino ai 10 anni: Criptorchidismo, chirurgia erniaria Fino ai 20 anni: Torsioni del funicolo (insieme di vasi e legamenti che sostengono il testicolo nella borsa scrotale), traumi, orchite postparotitica, steroidi anabolizzanti Fino ai 30 anni: Infezioni genitali, varicocele, orchiepididimite Fino ai 50 anni: Uso di farmaci, patologie professionali, abusi di alcol e fumo Dopo i 50 anni: Patologie prostatiche, infezioni urinarie

Diagnosi e terapia


L’infertilità maschile può avere diverse cause, che a volte risalgono all’età pediatrica (se non addirittura embrionale). Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, la diagnosi quasi sempre coincide con la richiesta da parte del paziente di un aiuto per poter concepire un bambino (di fatto in età adulta). Individuare le cause risulta quindi difficile e l’unico elemento diagnostico facilmente riconoscibile rimane l’alterazione del liquido seminale.

Per un primo inquadramento dell’infertilità maschile è quindi obbligatorio effettuare almeno due valutazioni del liquido seminale. Questo esame comprende la valutazione delle caratteristiche degli spermatozoi e del plasma seminale. L’interpretazione dei parametri dell’esame del liquido seminale, integrati con i dati clinici, rappresentano ad oggi il principale ed essenziale strumento diagnostico. Per completare la diagnosi può essere opportuno approfondire le indagini attraverso analisi più specifiche sul liquido seminale con tecniche di imaging e biopsia testicolare. L’obiettivo del trattamento dell’infertilità maschile è quello di migliorare la qualità del seme del paziente e/o di fare il miglior uso possibile dei suoi spermatozoi. Il trattamento di un fattore causale o della oligozoospermia idiopatica (riduzione della concentrazione degli spermatozoi) può determinare un aumento di probabilità di concepimento naturale. Può inoltre migliorare la probabilità di successo delle tecniche di fecondazione assistita o consentire di utilizzare tecniche meno aggressive, come l’inseminazione artificiale intrauterina.

Si stima che un terzo degli uomini infertili, una volta sottoposto alle adeguate cure, riesce ad avere una paternità naturale. Per gli altri, aumentano le possibilità di successo della fecondazione assistita. Attraverso l’approccio di trattamento dell’uomo è possibile ridurre la necessità di trattamento per la partner e i rischi per la prole, diminuire i costi per la coppia e per la società, e aumentare inoltre le reali probabilità di concepimento.

Le disfunzioni sessuali


Le disfunzioni sessuali cui possono associarsi problemi di fertilità sono l’eiaculazione retrograda (che non consente la deposizione del seme in vagina poiché viene eiaculato nella vescica) e la disfunzione erettile (l’incapacità a raggiungere o mantenere un’erezione sufficiente per un rapporto sessuale soddisfacente).

è frequente che alcuni uomini manifestino disturbi della sessualità di natura psicologica in risposta alla diagnosi e alle procedure terapeutiche per la cura dell’infertilità. Sottoporsi ad un trattamento per aumentare le possibilità di concepire un bambino è un procedimento particolarmente stressante in quanto significa essere continuamente oggetto di esami, oltre che dover programmare i rapporti sessuali con la partner o la raccolta del seme.

Le disfunzioni sessuali quindi, se da un lato rappresentano una possibile causa di infertilità, dall’altro possono diventare frequentemente anche una conseguenza dei trattamenti contro l’infertilità. L’importanza di risolvere tali disturbi nasce, quindi, anche dalla necessità di aiutare il paziente a seguire nel miglior modo possibile le cure e i trattamenti contro le problematiche relative alla sua capacità riproduttiva.
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martedì 26 marzo 2013

Ilva, tutte le sostanze che inquinano Taranto. Molte di queste sostanze hanno un influsso negativo anche sulla fertilità maschile


I veleni di Taranto
 e Cristina Tognaccini

Ferro, cadmio, diossina e amianto. Sono queste alcune delle sostanze inquinanti responsabili della maggiore mortalità nell'area attorno all'Ilva di Taranto. La concentrazione sarebbe maggiore nei quartieri Tamburi e Borgo, quelli più esposti alle ciminiere. Ma cosa sono queste sostanze? E quali sono i loro effetti?

164 morti «riconducibili» alle emissioni dell'acciaieria Ilva di Taranto. Sono questi i numeri forniti nelle perizie che hanno portato il Gip Patrizia Todisco del Tribunale di Taranto al sequestro dell'area a caldo dell'acciaieria più grande d'Europa. I tre consulenti, Annibale Biggeri, Maria Triassi e Francesco Forastiere, che hanno realizzato le perizie scientifiche, scrivono: «L'esposizione agli inquinanti emessi ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi che si traducono in malattia o morte».
La concentrazione delle sostanze tossiche è maggiore nei quartieri Tamburi e Borgo, quelli più vicini alle ciminiere, dove la  mortalità è quadrupla e i ricoveri per malattie cardiache tripli rispetto al resto della città. Nell'area di Taranto, è scritto nel decreto di sequestro, «si registrano significativi eccessi di tumori polmonari e vescicali, per i quali l'esposizione ad idrocarburi policiclici aromatici costituisce un importante fattore di rischio». E nel caso dei tumori polmonari «si riporta anche un'associazione significativa con la distanza della residenza dall'area dello stabilimento siderurgico». La categoria maggiormente a rischio sarebbe quella «rappresentata dai bambini». Le sostanze inquinanti causano, secondo quanto scritto nelle perizie, «effetti avversi sulla salute infantile e sulla gravidanza».
Ma quali sono i veleni di Taranto? Eccoli, uno per uno.
Metalli pesanti
Come si legge nel decreto di sequestro preventivo del Tribunale di Taranto, nell’aria della città pugliese è stata rilevata la presenza di «composti inorganici aerodispersi prevalentemente a base di ferro e ossidi di ferro (materia prima essenziale nei processi siderurgici)», oltre che di metalli pesanti tossici tra cui l’arsenico. La presenza dei metalli si rileva soprattutto nelle aree adiacenti il parco minerale, dove sono state individuate anche tracce di piombo, vanadio, nichel e cromo. La composizione di questi metalli, scrivono i magistrati, si può riscontrare «nelle varie frazioni granulometriche, dalla più grossolana (imbrattante) a quella più fine (nociva)». Si tratta sia di metalli dispersi nell’aria, sia depositati sulle pareti dei palazzi dei quartieri Tamburo o Borgo e sull’asfalto.
Tra i metalli di cui sono state rilevate concentrazioni superiori alla soglia, ci sono molibdeno, nichel, piombo, rame, selenio, vanadio, zinco e platino. Tutti elementi che «possono innescare infiammazioni, effetti cardiovascolari, renali» e che «causano danni al Dna e alterano la permeabilità cellulare inducendo la produzione di specie reattive dell’ossigeno nei tessuti». Con l’esposizione ai metalli pesanti sono state messe in relazione anche malattie neurologiche e renali. In particolare, il manganese è stato associato alle malattie neurologiche, mentre cadmio, piombo e cromo alle patologie renali. 
Secondo uno studio presentato a Oxford, sarebbe stata certificata anche «la presenza di piombo nelle urine dei tarantini». Su 141 soggetti analizzati (67 uomini e 74 donne), il valore medio del piombo urinario riscontrato nelle analisi è stato di 10,8 microgrammi/litro, mentre i valori di riferimento sono fissati, per la popolazione non esposta, in un intervallo che va da 0,5 a 3,5 microgrammi per litro.
Le polveri contenenti i metalli sono risultate superiori di 25,1 volte al valore minimo(1mg/Nm3) e 1,7 volte al valore massimo (15 mg/ Nm3). Ecco i metalli per i quali sono state rilevate concentrazioni superiori alla soglia di rilevabilità strumentale: 
PM10 e PM2,5 (Particulate Matter o materia particolata)
La materia particolata è una miscela di elementi metallici e composti chimici organici e inorganici dotati di differente tossicità per l’uomo. Il 10 o il 2,5 dopo l’acronimo Pm identificano il diametro delle particelle, 10 o 2,5 millesimi di millimetro. Nelle perizie la materia particola viene definita come «inquinante tossico di per sé». L’effetto dannoso dipende dalla composizione del Pm. La soglia massima prevista è di 20 millesimi di grammo di Pm10 per metro cubo. Ma, come scritto nelle perizie, attorno alla scuola elementare Grazia Deledda, a poche centinaia di metri dagli stabilimenti Ilva, i livelli di Pm10 superano anche «la soglia di 50 millesimi di grammo per metro cubo».
La nocività delle polveri sottili dipende dalle dimensioni delle particelle e dalla capacità di raggiungere le diverse parti dell’apparato respiratorio. Le particelle più grosse vengono filtrate dal naso e dalle prime vie respiratorie, mentre le particelle più piccole possono raggiungere i bronchioli terminali e gli alveoli. Depositandosi quindi nei polmoni. 
Nella sola area attorno alla cokeria, l’emissione delle polveri registrata sarebbe di 267 grammi per ogni tonnellata di coke, superiore di 17 volte rispetto al valore minimo (15,7 grammi per tonnellata di coke). Ma le concentrazioni nmon sarebbero rilevanti di per sé. È la presenza della materia particolata a causare danni. I risultati dell’analisi mostrano infatti che «per ogni incremento di 10 μg/m3 del Pm10 si osserva un aumento della mortalità pari allo 0.6% e le stime sono simili o più elevate per la mortalità cardiovascolare e respiratoria».
Nelle perizie viene documentato infatti un «aumentato rischio di morte per cause cardiovascolari e respiratorie e per cancro polmonare parallelo all’esposizione nel corso della vita alla componente particolata dell’inquinamento atmosferico». A essere colpiti sono soprattutto i bambini, esposti all’«insorgenza di asma e allergie». Altri studi suggeriscono anche che «l’esposizione al particolato, specie quello ultrafine, può avere un impatto sul cervello e può portare al deterioramento cognitivo e demenza di Alzheimer».
Tra le altre conseguenze, ci sono sia effetti acuti che cronici. Tra i primi, l'aggravamento dei sintomi respiratori e cardiaci in soggetti malati, le infezioni respiratorie acute, crisi di asma bronchiale, disturbi circolatori e ischemici, fino alla morte. Gli effetti cronici sono di tipo respiratorio e cardiovascolare e si presentano come conseguenza di una esposizione di lungo periodo e comprendono sintomi respiratori cronici quali tosse e catarro, diminuzione della capacità polmonare, bronchite cronica, aumento della patologia cardiocircolatoria con aumento della pressione arteriosa, aumento nella frequenza di malattie ischemiche (esempio, angina pectoris) e cerebrovascolari (esempio, attacco ischemico transitorio) con la comparsa di vari eventi acuti coronarici (infarto del miocardio, angina instabile) e cerebrovascolari (ictus).
Il numero di decessi e malattie riconducibili all'eccessiva presenza di Pm10 è elevato: «Per citare alcuni dati della tabella, nei 13 anni di osservazione sono attribuibili alle emissioni industriali 386 decessi totali (30 per anno), ovvero l’1.4% della mortalità totale, la gran parte per cause cardiache. Sono altresì attribuibili 237 casi di tumore maligno con diagnosi da ricovero ospedaliero (18 casi per anno), 247 eventi coronarici con ricorso al ricovero (19 per anno), 937 casi di ricovero ospedaliero per malattie respiratorie (74 per anno) (in gran parte nella popolazione di età pediatrica, 638 casi totali, 49 per
anno). L’esposizione a Pm10 primario di origine industriale (in grande prevalenza proveniente dalle sorgenti convogliate del complesso siderurgico) è associata in modo coerente con un aumento della mortalità complessivo e con la mortalità e morbosità per cause cardiovascolari (in particolare la malattia ischemica), respiratorie, neurologiche e renali».

Gas (NO2, SO2)
Attraverso le “torce” dell’acciaieria, si legge nelle perizie, l'impianto avrebbe smaltito «abusivamente una gran quantità di rifiuti gassosi». Le sostanze inquinanti aerodisperse con un impatto negativo «rilevante» sulla salute dell’uomo, e in modo specifico sull’apparato respiratorio raggiunto per via inalatoria, sono gli ossidi di zolfo, in particolare SO2, e gli ossidi di azoto, in particolare NO2. A questi si aggiungono l’ossido di carbonio, gli idrocarburi aromatici policiclici e il particolare totale sospeso.
L’esposizione al diossido di azoto, NO2, nell’area di residenza è associata a sintomi di bronchite anche negli adulti. Il composto è un forte irritante delle vie polmonari: provoca tosse acuta, dolori al torace, convulsione e insufficienza respiratoria. I danni ai polmoni si possono manifestare anche molti mesi dopo l’esposizione. Il diossido di zolfo, SO2, o anidride solforosa, è un gas irritante per gli occhi e per il tratto respiratorio. Per inalazione può causare edema polmonare e una prolungata esposizione può portare anche alla morte.
Ecco le percentuali rilevate a Taranto: 

Idrocarburi policiclici aromatici (Ipa)
Sono un gruppo di composti chimici simili per struttura, formati da più anelli aromatici condensati in una struttura piana. Tra i più tossici: antracene, acenaftene, benzo(a)pirene, benzo(j)fluorantene, fenantrene, crisene. Vengono prodotti dai processi di combustione di sostanze organiche quali carbone, petrolio e suoi derivati, inceneritore di rifiuti e impianti industriali. Possono essere presenti nell'aria in fase gassosa ma possono anche aderire al particolato atmosferico e venire trasportati dalle correnti d’aria anche a grandi distanze e veicolati in casa da abiti e scarpe. Vengono assorbiti per via inalatoria sia in fase gassosa sia come particolato ma anche attraverso la pelle. Dopo l’assorbimento vengono rapidamente distribuiti a livello epatico, intestinale, polmonare e nel tessuto adiposo e mammario nonché a livello surrenalico e delle gonadi. Sono in grado di oltrepassare la placenta in seguito a esposizione inalatoria, cutanea e orale.
L’esposizione agli idrocarburi policiclici aromatici può causare il cancro alla pelle e al polmone. Il benzo(a)pirene, in particolare, risulta tra i cancerogeni certi, classificato come «cancerogeno per l'uomo» mentre gli altri Ipa sono considerati possibili cancerogeni. Queste sostanze possono interferire con il sistema immunitario, causare un aumento di asma e rinite allergica. 


Benzene
È un idrocarburo aromatico monociclico a sei atomi di carbonio. Si genera da processi di combustione incompleta di composti ricchi di carbonio. Questi processi possono essere naturali o causati dall’uomo (produzione di carbon coke nell'industria dell'acciaio, processi di distillazione del petrolio e del carbon fossile). L’assorbimento del benzene avviene quasi esclusivamente attraverso le vie respiratorie e gli effetti sull’organismo umano variano a seconda della quantità e del tempo di esposizione: brevi esposizioni di 5-10 minuti a livelli molto alti di benzene nell’aria (10000-20000 ppm) possono condurre alla morte; livelli di concentrazione più bassi (700-3000 ppm) invece causano giramenti di testa, sonnolenza, aumento del battito cardiaco, tremori, confusione e perdita di coscienza. Il benzene inoltre causa irritazione di pelle e mucose (oculare e respiratoria in particolare). Gli effetti tossici sono dovuti a esposizioni croniche, ambientali o professionali per tempi molto lunghi e a basse concentrazioni.
Il benzene rientra tra le sostanza cancerogene certe, grazie a evidenze scientifiche che ne dimostrano l’associazione, in seguito a esposizione professionale, con leucemie acute non linfoidi, e in particolare leucemia mieloide acuta (alle sostanze volatili organiche, tra cui il benzene, è, infatti, riconosciuto un ruolo cancerogeno per i tumori del sangue, in particolare la leucemia). Sono in corso di accertamento numerose associazioni con altri tipi di tumori. L’effetto cancerogeno è dovuto alla sua capacità di inserirsi all’interno della catena del Dna, modificandone la struttura e di conseguenza i “comandi” cellulari, come la sintesi di proteine e la riproduzione cellulare incontrollata.

Diossine
Sono una classe di composti organici eterociclici. Comprendono un gruppo di 210 composti aromatici clorurati classificabili in due grandi famiglie: le PoliCloroDibenzoDiossine (Pcdd) e i PoliCloroDibenzoFurani (Pcdf), che hanno struttura chimica, azione biologica e proprietà fisiche simili. Rientrano in questa classe anche i PoliCloroBifenili, Pcb, o diossina-simili (o Pcb-dl dioxine like) per le proprietà tossicologiche comuni.
Sono il sottoprodotto di processi chimici e di combustione di materiali contenenti cloro in difetto di ossigeno, a temperature inferiori a 800 gradi. Una volte immesse nell’atmosfera possono essere trasportate anche a grandi distanze, depositandosi su suolo, acque e nei sedimenti, e rimanendo lì per decenni. Il pericolo maggiore è la possibilità di entrare nella catena alimentare. Gli animali, nutrendosi di vegetazione contaminata, tendono a concentrare la diossina nel grasso, nelle loro carni e nel latte. Si noti anche l’importante eccesso di tumori dei tessuti molli osservato nella valutazione dell'esposizione a diossine. Per queste associazioni tra lavoro in siderurgia e comparsa di tumori esiste una vasta evidenza scientifica.
Nello stabilimento dell’Ilva il punto di maggior emissione di diossine è il camino E312 dell’agglomerato, il più alto – 220 metri – dei camini dell’Ilva (e tra i più alti tra quelli utilizzati in altri grandi sinterizzatori europei, in genere di altezza uguale o inferiore a 150 metri). La portata del camino è di circa 3 milioni di metri cubi per ora. La soglia massima consentita per la somma di Pcdd e Pcdf è di 0,4 nanogrammi TEQ su metro cubo (ng TEQ/Nm3).
Le diossine sono tra le sostanze cancerogene del gruppo 1, quelle con provata attività tumorale. Alle diossine è riconosciuto un ruolo cancerogeno per i tumori nel loro complesso, per i tumori del tessuto linfoematopietico (linfoma non-Hodgkin) e per i tumori del tessuto connettivo, come i sarcomi dei tessuti molli. Oltre a questo, le diossine hanno un effetto negativo su sistema immunitario, fegato e cute, e un’azione mutagena ed embriotossica. Le manifestazioni acute da diossine comprendono la cloracne, l’endometriosi, l’infertilità maschile, la disregolazione del sistema immunitario, le alterazioni nervose e comportamentali e le interferenze endocrine.
«Le analisi e i monitoraggi condotti nel corso dell’indagine alle emissioni dell’Area
agglomerazione e in particolare all’emissione denominata E312 “agglomerazione Agl2” hanno
evidenziato valori di inquinanti Pcdd/Pcdf al di sotto dei valori limite previsti», si legge. Ma qualsiasi siano le quantità di diossine riscontrate dai campionamenti, non ha senso parlare di «limiti alti, bassi o medi. La diossina comunque non dovrebbe esserci trattandosi di sostanza gravemente dannosa per la salute
umana, animale e vegetale». Questa quantità dovrebbe essere zero. «Più ci si discosta da questo valore, più aumentano le probabilità che un certo numero di individui possano morire. Con l’aumentare della quantità non aumenta la tossicità, ma il numero di morti».
Amianto
È un minerale con struttura fibrosa, molto comune in natura. In passato è stato usato in grandi quantità nell'industria, nell'edilizia e nei trasporti, per il basso costo di lavorazione e la resistenza al calore e al fuoco (nome commerciale Eternit). La legge n.257 del marzo 1992 ne vieta l’utilizzo in Italia, a causa della pericolosità per la salute pubblica dovuta alla natura fibrosa del minerale. Il rischio principale legato all’amianto è dovuto alla dispersione delle fibre in aria e nel suolo, a causa di una ridotta compattezza dei manufatti in amianto dovuta sia all’usura del tempo (alcuni decenni) o degli agenti atmosferici, sia al danneggiamento a opera dell’uomo. Anche a bassissime concentrazioni, la fibra d’amianto può provocare patologie, prevalentemente dell’apparato respiratorio (asbestosi, carcinoma polmonare, mesotelioma).
Se inalato è molto pericoloso perché le sue fibre si dividono longitudinalmente e mantengono una forma ad “aghi” anche alle dimensioni ridotte di alcuni centesimi di micron. Una volta nel sistema respiratorio, le fibre si concentrano nei bronchi, negli alveoli polmonari e nella pleura, e proprio come una lamina appuntita possono “trafiggere” le mucose provocando danni irreversibili ai tessuti. Possono disperdersi anche a notevole distanza dal luogo di origine. 
I maggiori livelli di rischio si sono riscontrati negli ambienti di lavoro dove l'amianto veniva manipolato (produzione di cemento-amianto, spruzzatura di edifici o di mezzi di trasporto come i treni e le navi, produzione di tessuti, ecc.) e negli ambienti di vita dove è presente amianto spruzzato in cattivo stato di conservazione.
Gli effetti nocivi che si manifestano in seguito all’inalazione di amianto sono dovuti all’instaurazione di meccanismi irritativi, degenerativi e cancerogeni. Tutti i tipi di amianto sono classificati tra gli agenti cancerogeni umani certi (Gruppo 1). Oltre che per la pleura, le neoplasie possono riguardare il polmone, la laringe, il peritoneo, il pericardio e il testicolo e, seppur con evidenza limitata, l'ovaio, il colon-retto, lo stomaco e la faringe.
 
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martedì 12 marzo 2013