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mercoledì 20 ottobre 2010

Pesce alleato della prostata malata

Nuovi dati indicano che in chi ha già sviluppato il tumore il consumo di prodotti ittici può migliorare la prognosi



MILANO - Se le potenzialità preventive del pesce nei confronti del diffuso tumore della prostata sono ancora controverse, non si può dire altrettanto quando il cancro ha già colpito. Secondo una rassegna canadese degli studi sul tema, pubblicata sull’American Journal of Clinical Nutrition, pare proprio che mangiare spesso pesce quando ormai il tumore si è già sviluppato possa ridurre il rischio che si formino metastasi e la mortalità.


BENEFICI - Fino ad ora diversi studi hanno evidenziato che il consumo regolare di pesce comporta alcuni benefici per la salute tra cui una riduzione del rischio di avere un infarto o un ictus, tuttavia è ancora poco chiaro il suo ruolo nei confronti del tumore della prostata. Per cercare di chiarire questo punto i ricercatori canadesi hanno analizzato una trentina di studi sul tema giungendo alla conclusione che il pesce non sarebbe di grande aiuto nella prevenzione di questo tumore, ma gioverebbe una volta che la malattia si è sviluppata. In particolare, dai dati raccolti emerge che gli uomini che mangiano spesso pesce hanno un rischio ridotto del 44 per cento di sviluppare metastasi nonché un rischio ridotto del 63 per cento di soccombere per colpa del cancro.

MECCANISMI - Secondo i ricercatori canadesi gli effetti benefici del pesce potrebbero essere legati all’azione antinfiammatoria degli oli di pesce in grado di contrastare la progressione del tumore. Alcuni studi precedenti hanno infatti evidenziato che i grassi buoni del pesce, i ben noti omega-3, sono in grado di ridurre la progressione del tumore riducendo l’infiammazione e attraverso altri meccanismi.


QUANTITÀ - «Possiamo senz’altro dire che mangiare più spesso pesce può offrire dei benefici, purtroppo però non sappiamo quante sono le porzioni ideali» puntualizza Konrad M. Szymanski della McGill University di Montreal, uno degli autori dello studio. L’impossibilità di dare delle indicazioni precise, spiegano i ricercatori, deriva dall’eterogeneità degli introiti di pesce considerati nei diversi studi. Tuttavia, considerando che mangiare spesso pesce è un toccasana per la salute in generale, sarebbe utile raccomandarne un consumo maggiore negli uomini. «Il tumore della prostata è una malattia molto comune - fa notare Szymanski - e se anche l’impatto del consumo di pesce su di essa fosse modesto, la promozione di una politica di implementazione al suo consumo relativamente economica e facile potrebbe avere complessivamente delle ricadute importanti». Insomma via libera al consumo di pesce, ricordano di variare comunque la tipologia e di abbinarlo ad altri alimenti benefici, a partire da frutta e verdura.



Antonella Sparvoli

20 ottobre 2010

venerdì 1 ottobre 2010

TRATTAMENTO MEDICO E FISICO DELLE PATOLOGIE HPV CORRELATE

Carlo Antonio Liverani

Servizio di Ginecologia Preventiva Dipartimento per la Salute della Donna, del Bambino e del Neonato - Fondazione I.R.C.C.S. - Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena Università degli Studi di Milano

L’infezione da papillomavirus umano (HPV) ha un’elevata prevalenza nella popolazione adulta sessualmente attiva, con stime che arrivano a calcolare che una donna all’età di 50 anni avrà avuto fino all’80% di probabilità di essere venuta in qualche modo in contatto con il virus nel corso della propria vita. Oltre alla cervice uterina, gli HPV sono responsabili di infezioni a livello vaginale, vulvare, perianale ed anale, penieno ed orofaringeo. Occorre distinguere le infezioni subcliniche (diagnosticabili con citologia, colposcopia ed istologia), dalle infezioni cliniche (visibili anche ad occhio nudo, note come condilomi floridi).

Patologie HPV correlate

• Circa il 70% dei cancri cervicali è causato dai tipi di HPV 16 o 18.

• Dal 50 al 60% delle lesioni intraepiteliali di alto grado della cervice uterina (CIN2 e CIN3) è dovuto all’HPV 16 e 18.

• Dall’80 al 90% dei cancri anali è causato dall’HPV 16 o 18.

• Almeno il 40% dei cancri vulvari è correlato all’HPV.

• Percentuali variabili di cancri penieni, vaginali, uretrali, orali (testa e collo) contengono tipi carcinogenici di HPV.

• Il 90% dei condilomi floridi anogenitali è causato dall’HPV 6 o 11.

• La papillomatosi laringea giovanile si verifica in circa 1 su 200.000 bambini al di sotto dei 18 anni di età (raramente i papillomi possono trasformarsi in carcinomi a livello di laringe, esofago, bronchi. Gli HPV 6 e 11 sono i tipi più frequenti nei papillomi del tratto respiratorio ed il tipo 11 è quello che più spesso si associa alla progressione verso il cancro).

INFEZIONE GENITALE SUBCLINICA

Comprende situazioni in cui l’infezione viene diagnosticata sulla cervice dal Pap test, colposcopia o biopsia; a livello vulvare, penieno o di altra cute genitale dalla comparsa di aree bianche dopo applicazione di acido acetico al 5%. Si verifica molto più frequentemente delle lesioni genitali visibili, sia tra gli uomini che tra le donne. A livello cervicale viene spesso diagnosticata dal Pap test unitamente a lesioni squamose intraepiteliali. Non è ancora chiaro se i pazienti con infezione subclinica siano altrettanto contagiosi quanto i pazienti che hanno lesioni esofitiche. In assenza di una coesistente lesione squamosa intraepiteliale, il trattamento dell’infezione subclinica da HPV diagnosticata con colposcopia, biopsia, applicazione di acido acetico o rilevazione dell’HPV con test di laboratorio non è raccomandato. Infatti il valore preventivo del trattamento di queste forme non è dimostrato perché non è stata identificata alcuna terapia che eradichi l’infezione. Inoltre la diagnosi di infezione è spesso una diagnosi non definitiva: una percentuale che arriva fino al 91% dei casi di infezione da HPV si risolve spontaneamente entro due anni. In presenza di una lesione squamosa intraepiteliale invece, il trattamento dovrebbe basarsi sul grado del referto istopatologico. Pertanto la gestione di queste pazienti deve essere finalizzata alla diagnosi precoce ed alla terapia delle lesioni preneoplastiche che eventualmente si associano (CIN, VIN, VaIN, AIN). Le lesioni di basso grado possono essere seguite con programmi di follow-up semestrale data l’elevata percentuale di regressione spontanea, mentre quelle di alto grado devono essere sottoposte ad escissione (con bisturi, raggio laser o radiofrequenza).

Poiché in assenza di una concomitante displasia non si raccomanda il trattamento per l’infezione genitale subclinica da HPV, la valutazione medica dei partner sessuali non è necessaria. La maggior parte dei partner sessuali dei pazienti con infezione da HPV è già probabilmente infetta in modo

subclinico. Lo screening per l’infezione genitale subclinica da HPV mediante test al DNA o RNA non è raccomandato.

INFEZIONE GENITALE CLINICA

Per quanto riguarda invece le forme floride (che rappresentano circa l’1% di tutte le infezioni), queste dovranno essere attentamente valutate e adeguatamente trattate, per l’elevata contagiosità, la possibile presenza di sintomi e l’impatto psicologico che quasi sempre determinano nei soggetti che ne sono affetti: prima di procedere a qualunque tipo di trattamento è però indispensabile escludere le forme pretumorali e tumorali, che talvolta anche nelle condilomatosi floride possono essere associate. Le varie opzioni terapeutiche non sempre risultano efficaci e vi è un alto tasso di persistenza o di recidiva delle lesioni, soprattutto nelle donne immunodepresse. Allo stato attuale delle conoscenze, la terapia chirurgica si è dimostrata superiore alla quella medica.

I condilomi genitali rappresentano la più comune malattia a trasmissione sessuale dei paesi industrializzati. Poiché rispondono male ai comuni trattamenti, essi sono responsabili di una non indifferente morbilità. Più del 90% delle lesioni condilomatose genitali sono associate ai tipi di HPV 6 e 11: questi tipi, pur non essendo associati ai carcinomi cervicali, causano tuttavia gradi minori di displasia che risultano anch’essi in una morbilità, sia per i timori che vengono ingenerati sia per l’overtreatment. Circa due terzi degli individui che hanno un contatto sessuale con un soggetto affetto da condilomi floridi svilupperà condilomatosi, generalmente entro tre mesi dal contatto. I partner sessuali di pazienti con condilomi possono trarre beneficio dall’esame clinico per un’eventuale diagnosi di lesioni genitali e di altre malattie sessualmente trasmesse. L’uso del preservativo può ridurre ma non eliminare il rischio di trasmissione ai partner non infettati: infatti l’infezione può essere trasmessa a livello di aree dell’asta peniena non ricoperte dal preservativo, dell’inguine, dello scroto o del pube. L’impiego del preservativo non si è dimostrato efficace neanche nel migliorare l’esito del trattamento dei condilomi anogenitali, ma, potendo almeno in parte prevenire la trasmissione ai partner non infettati, va comunque incoraggiato. Educazione e counseling sono aspetti importanti della gestione dei pazienti con condilomatosi genitale: i pazienti possono venire informati per mezzo di materiali educativi appropriati, tipo opuscoli e siti web.

I tipi di HPV 16, 18, 31, 33, e 35 vengono occasionalmente ritrovati nei condilomi genitali visibili e sono stati associati alle neoplasie squamose intraepiteliali ed ai carcinomi cervicali, vaginali e dei genitali esterni (vulvari, anali e penieni). Non bisogna dimenticare che pazienti con condilomi genitali visibili possono risultare infettati simultaneamente con tipi di HPV multipli. Non vi sono dati che supportino l’impiego di routine di test virali tipo-specifici nella gestione dei condilomi genitali visibili.

Lo stress psicologico di essere portatori di condilomatosi genitale è spesso maggiore della morbilità della malattia e perciò un trattamento efficace è cruciale. Scopo primario del trattamento dei condilomi genitali visibili è la rimozione delle lesioni sintomatiche. Nella maggior parte dei pazienti il trattamento può indurre periodi di guarigione. Se non vengono trattati, i condilomi genitali visibili possono risolversi spontaneamente, rimanere invariati, oppure estendersi in dimensione e/o numero. I dati esistenti indicano che le terapie attualmente disponibili per i condilomi possono ridurre l’infettività, ma probabilmente non la eliminano. Poiché non esiste un migliore trattamento in assoluto, sarà compito del medico che lo esegue cercare di adattarlo e personalizzarlo al singolo paziente. Qualunque tipo di terapia venga scelta, bisogna ricordare che il DNA virale può persistere in forma latente nel tessuto circostante e può portare a ricorrenza di lesioni visibili.

Le terapie raccomandate per la condilomatosi florida anogenitale si distinguono in terapie applicate dal paziente e terapie praticate dal medico.

Terapie applicate dal paziente:

Podofillotossina soluzione allo 0,5%. Composto purificato estratto dalla pianta Podofillum peltatum. La soluzione va applicata con un batuffolo di cotone sui condilomi genitali visibili, due volte al giorno - mattina e sera - per 3 giorni consecutivi, seguiti da 4 giorni di sospensione del

trattamento. Questo ciclo può essere ripetuto, se necessario, fino ad un massimo di 4 cicli consecutivi. L’area totale da trattare non dovrebbe superare i 10 cm2 ed il volume totale di podofillotossina dovrebbe essere limitato a 0,5 mL al giorno. La sicurezza della podofillotossina in gravidanza non è stata documentata.

Imiquimod crema al 5%. L’imiquimod è un farmaco immunostimolante attivo per via topica, che stimola la produzione di interferoni e di altre citochine. Reazioni infiammatorie locali, da lievi a moderate, sono comuni. La crema va applicata una volta al giorno, alla sera al momento di coricarsi, per tre volte alla settimana fino ad un massimo di 16 settimane. L’area trattata dovrebbe essere lavata con acqua e sapone 6-10 ore dopo l’applicazione. Il costo è elevato e l’efficacia variabile. La sicurezza dell’imiquimod durante la gravidanza non è stata stabilita.

Terapie praticate dal medico:

Crioterapia con azoto liquido o criosonda. Le applicazioni possono essere ripetute ogni 1-2 settimane. La crioterapia distrugge i condilomi per citolisi termo-indotta. L’impiego della criosonda in vagina non è raccomandato, a causa del rischio di perforazione vaginale e la formazione di fistole.

Podofillina resina al 10%-25%. Estratta dalle radici e dai rizomi del Podofillum peltatum, pianta originaria delle regioni orientali dell’America del Nord come anche del podofillo indiano. Un sottile strato di questa resina dovrebbe essere applicato su ciascuna lesione e lasciato asciugare all’aria aperta. Il trattamento può essere ripetuto settimanalmente, se necessario. Per evitare la possibilità di complicazioni associate all’assorbimento sistemico e la tossicità, alcuni Autori raccomandano che l’applicazione sia limitata a meno di 0,5 mL di podofillina o un’area minore di 10 cm2 di condilomi per sessione. Per ridurre l’irritazione locale, la preparazione dovrebbe essere completamente rimossa con acqua 1-4 ore dopo l’applicazione. La sicurezza della podofillina durante la gravidanza non è stata stabilita. Recentemente molti Autori non raccomandano più l’uso della podofillina, a causa dei gravi effetti sistemici legati al suo assorbimento oltre che alle severe reazioni locali ed alla scarsa efficacia. Infine sono ben note le sue proprietà teratogene ed oncogene.

Acido tricloroacetico (TCA) o bicloroacetico (BCA) 80%–90%. Sono entrambi agenti caustici che distruggono i condilomi per coagulazione chimica delle proteine. Una piccola quantità di queste sostanze dovrebbe essere applicata solamente sulle lesioni e lasciata asciugare, finché non si sviluppa una specie di “brina”. Se l’acido viene applicato in eccesso, l’area trattata dovrebbe essere cosparsa di talco, bicarbonato di sodio, o sapone liquido. Questo trattamento può venire ripetuto settimanalmente, se necessario. Benché questi preparati siano ampiamente utilizzati, essi non sono stati completamente studiati. Soluzioni di TCA hanno una bassa viscosità, paragonabile a quella dell’acqua e possono diffondersi rapidamente se applicati in eccesso; perciò possono danneggiare i tessuti adiacenti.

Rimozione chirurgica mediante escissione tangenziale con forbici, bisturi, curettage, o elettrochirurgia, inclusa l’ansa diatermica (LEEP) e il Laser: dopo avere praticato un’anestesia locale, i condilomi visibili vengono fisicamente demoliti. Il raggio Laser e la LEEP esercitano le loro funzioni di taglio-coagulo con gli stessi meccanismi termici ed alle stesse temperature. In entrambi i sistemi il danno termico è contenuto dall’involucro di vapore che evita la dispersione termica nei tessuti. Sia l’elettrochirurgia a radiofrequenza che la chirurgia con Laser richiedono un apparecchio per l’aspirazione dei fumi: è dimostrato infatti che tali fumi contengono DNA virale potenzialmente in grado di causare negli operatori un’infezione da HPV del tratto respiratorio. Indipendentemente dalla tecnica, il 20-30% dei pazienti svilupperà nuove lesioni ai bordi del tessuto trattato e/o in sedi remote. La “laservaporizzazione” consiste nella distruzione del tessuto fino al piano chirurgico interessato, mentre la “laserescissione” consente di escindere il tessuto e quindi permette l’esame istologico del pezzo operatorio. Pertanto la prima tecnica va riservata solo a lesioni superficiali, lesioni condilomatosiche, o aree limitate di lichen scleroso, mentre la seconda viene utilizzata per le VIN, lesioni pigmentate, o comunque ogniqualvolta possano esservi dubbi interpretativi.

Il trattamento con 5-Fluorouracile in crema al 5% non è più raccomandato, a causa dei gravi effetti collaterali, che possono dare problemi anche a lunga distanza (neovascolarizzazione, bruciore vulvare, teratogenesi). Inoltre il suo utilizzo nella gestione dei condilomi anogenitali non è previsto dalla licenza del prodotto ed è a totale responsabilità del medico.

Trattamenti in gravidanza

Imiquimod, podofillina e podofillotossina non dovrebbero essere utilizzati durante la gravidanza. Dato che i condilomi genitali possono proliferare e divenire friabili nel corso della gestazione, molti specialisti sostengono la necessità della loro rimozione in gravidanza. I tipi di HPV 6 e 11 possono causare papillomatosi laringea nei neonati e nei bambini: la via di trasmissione (transplacentare, perinatale, o postnatale) non è completamente chiarita. Il valore preventivo del taglio cesareo non è noto; perciò il parto cesareo non dovrebbe mai essere effettuato al solo intento di prevenire la trasmissione dell’infezione da HPV al neonato. In gravidanza la terapia più efficace della condilomatosi genitale è probabilmente rappresentata dalla Laser chirurgia.

Trattamenti in pazienti immunocompromessi

L’immunodeficienza inibisce l’eliminazione dell’infezione da HPV e facilita la sua riattivazione. Soggetti immunodepressi a causa di infezione da HIV o per altre ragioni, possono non rispondere alle terapie per i condilomi anogenitali alla stregua dell’ospite immunocompetente e possono manifestare più frequenti recidive dopo trattamento. Carcinomi squamocellulari che insorgono in condilomi o che assomigliano ai condilomi possono inoltre verificarsi più frequentemente fra gli individui immunodepressi, richiedendo pertanto un maggiore ricorso alla biopsia per la conferma della diagnosi. Data l’aumentata incidenza di cancro anale nei maschi omosessuali sieropositivi per HIV, alcuni Autori raccomandano lo screening citologico per le lesioni squamose intraepiteliali anali (AIN) in questa popolazione. Le complicanze emorragiche ed infettive durante e dopo terapia, nelle pazienti HIV positive sono più importanti rispetto alle pazienti HIV negative. Le donne con infezione da HIV presentano anche un rischio più elevato di coinfezione con più tipi di HPV e la coinfezione potrebbe costituire un altro fattore di rischio indipendente di progressione. È stata inoltre descritta una chiara correlazione tra bassi livelli di CD4 e un numero più elevato di tipi HPV. Ciò depone per la persistenza o la riattivazione di infezioni da HPV preesistenti, in un quadro generale di compromissione della risposta immunitaria. Il fatto che più tipi di HPV siano stati descritti anche in una significativa percentuale di donne HIV negative, suggerisce l’esistenza di un sottogruppo di donne con una risposta immunitaria all’HPV intrinsecamente deficitaria.

COUNSELING SUGGERITO

I papillomavirus che colpiscono il tratto genitale inferiore (collo uterino, vagina, vulva e ano) sono di differenti tipi e possono provocare schematicamente 5 differenti scenari:

1) Assolutamente niente. È questa l’evenienza sicuramente più comune nella donna sana, non fumatrice e non immunodepressa. Come i virus sono venuti, così se ne vanno.

Terapia: nessuna.

2) Condilomi floridi. Sono lesioni contagiose, che è consigliabile eliminare tanto nella donna come nell’uomo. Si tratta di lesioni benigne, come le verruche, ma che possono recidivare spesso, causando notevoli disagi anche psicologici. Colpiscono circa l’1% della popolazione sessualmente attiva.

Terapia: asportazione chirurgica, vaporizzazione Laser o radiofrequenza, talora applicazione di particolari sostanze.

3) Lesioni squamose di basso grado. Sono lesioni ad alta probabilità di regressione spontanea, ma che è sempre doveroso indagare con la colposcopia (per confermare la loro natura).

Terapia: osservazione.

4) Lesioni squamose di alto grado. Sono lesioni ad alto rischio di diventare cancro, che è doveroso trattare chirurgicamente.

Terapia: conizzazione con ansa termica (LEEP o tecniche analoghe).

5) Lesioni ghiandolari. Si tratta in questo caso, fortunatamente molto più raro dei precedenti, di lesioni pericolose, ad elevato potenziale oncogeno e che possono ripresentarsi anche dopo LEEP. Se l’esame istologico definitivo è di adenocarcinoma in situ, sarà più prudente asportare tutto l’utero, almeno nelle donne che non vogliono più figli.

Terapia: isterectomia totale.

Conclusione

Allo stato attuale, purtroppo non ci sono evidenze che indichino che i trattamenti oggi disponibili per le lesioni genitali da papillomavirus:

1) eradichino l’infezione da HPV,

2) influiscano sulla storia naturale dell’infezione,

3) diminuiscano l’infettività,

4) influiscano sullo sviluppo del cervicocarcinoma.

Solo l’estendersi di programmi vaccinali contro l’HPV potrà cambiare questa situazione. Gli adolescenti sessualmente attivi hanno i più elevati tassi di infezione da HPV prevalente ed incidente, con percentuali superiori al 50-80% di probabilità di sviluppare infezioni entro 2-3 anni dopo l’inizio dell’attività sessuale. Questi alti tassi riflettono il comportamento sessuale e la vulnerabilità biologica. La maggior parte delle infezioni ha natura transitoria e non causa anomalie citologiche. Tuttavia un certo numero di adolescenti non si libera dall’infezione. La persistenza dell’HPV è fortemente collegata allo sviluppo di lesioni squamose intraepiteliali di alto grado (H-SIL) e al cancro invasivo. La vaccinazione prima dell’inizio dell’attività sessuale è di fondamentale importanza nell’interrompere la diffusione dell’infezione. Strategie politiche e risorse economiche decreteranno il successo del vaccino.

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lunedì 27 settembre 2010

La cistite post coitale

Le crisi di coppia possono nascere anche nell’intimità. L’uomo e la donna restano disorientati quando l’intesa emotiva e affettiva non si traduce in intesa fisica, e anzi trova nella sessualità l’area di maggiore delusione. O, addirittura, di dolore. Tra i sintomi più pesanti per la donna c’è la cistite che compare 24-72 ore dopo il rapporto (“post-coitale”). Costituisce il 4% delle cistiti, ma ben il 60% di quelle che recidivano. I sintomi che la caratterizzano sono il bruciore vescicale e uretrale, la minzione frequente e dolorosa, con un dolore/bruciore che persiste anche dopo la fine del getto urinario, talvolta perdita di sangue con le urine (“ematuria”). In positivo, è possibile risolverla se sappiamo diagnosticare e curare i fattori che predispongono alla cistite, quelli che la scatenano e quelli che la mantengono. Va evitato invece il minimalismo terapeutico di prescrivere solo antibiotici sempre più aggressivi che distruggono anche gli ecosistemi normali, intestinale e vaginale, favorendo le temibili infezioni da Candida, un fungo patogeno.

Una buona diagnosi di cistite implica che il medico valuti i possibili fattori predisponenti, quali: 1) la carenza di estrogeni, da cui dipendono sia l’innalzamento del pH con alterazione dell’ecosistema vaginale, che rende la vescica più vulnerabile all’attacco dei germi, sia la maggiore sensibilità a traumi meccanici; 2) la stitichezza, che favorisce le infezioni da Escherichia Coli; 3) l’eccessiva contrazione (“ipertono”) del muscolo elevatore dell’ano che chiude in basso il bacino. E che ricerchi i fattori precipitanti che scatenano l’attacco: 1) infezioni da germi (batteri, virus, funghi); 2) traumi meccanici, quali il rapporto sessuale in condizioni di secchezza vaginale e/o quando il muscolo che chiude in basso il bacino (“elevatore dell’ano”) è contratto: 3) variazioni brusche di temperatura, che causano la “cistite da freddo”; 4) danni chimici o fisici, quali chemio e radioterapia. La cistite persiste e peggiora, quando sono presenti due fattori di mantenimento: 1) una diagnosi inadeguata o incompleta e/o 2) una terapia che non cura i fattori predisponenti e precipitanti nella loro globalità.

La donna è più vulnerabile alle cistiti rispetto all’uomo per ragioni anatomiche: la stretta vicinanza con la vagina rende la vescica sensibile ai traumi “meccanici” qual è, per esempio, il rapporto sessuale se la lubrificazione non è adeguata, se la donna prova dolore alla penetrazione, e/o i muscoli che circondano la vagina sono contratti. La probabilità di sviluppare una cistite aumenta di 4 volte, se la donna ha secchezza vaginale, e di 7 volte, se il rapporto causa dolore. Spesso la cistite si associa a dolore vulvare (“vulvodinia”) e vestibolite vulvare. In altri termini, esiste una frequente comorbilità tra cistiti e sintomi sessuali quali la secchezza vaginale e il dolore all’inizio della penetrazione. Il dolore è il più potente inibitore riflesso della lubrificazione vaginale (ecco perché la donna avverte “secchezza” vaginale) e della congestione genitale associata all’eccitazione. Questo può favorire le cistiti perché l’uretra, il condottino da cui esce l’urina, è circondata da una fitta rete di vasi sanguigni, che si congestionano con l’eccitazione, formando una sorta di manicotto ammortizzatore che protegge l’uretra e il trigono dal trauma meccanico di un rapporto. Se l’eccitazione è insufficiente, o si blocca, questa protezione viene meno, facilitando la cistite post-coitale.

La diagnosi accurata orienterà la terapia risolutiva: 1) fare terapia antibiotica solo in caso di cistite infettiva, in modo mirato (dopo antibiogramma), a dose piena, e con antibiotici che rispettino l’ecosistema vaginale; 2) normalizzare il pH e l’ecosistema vaginale, con acidificanti vaginali (acido borico, vitamina C, gel che liberano ioni H+); 3) ripristinare un normale livello estrogenico in vagina, con minime quantità di estrogeni locali, da applicare due volte la settimana, specie dopo la menopausa; 4) correggere la stipsi; 5) rilassare il muscolo elevatore contratto: con automassaggio e stretching che la donna può fare da sola, oppure con biofeedback dei muscoli pelvici, tecnica che aiuta a comandare il rilassamento del muscolo; 6) assumere estratti di mirtillo rosso (“cranberry”) che riducono il potere aggressivo dell’Escherichia coli nei confronti della mucosa vescicale; 7) migliorare la risposta sessuale, curando secchezza e dolore ai rapporti; 8) non ultimo, curare anche il partner, in caso di infezioni “a ping-pong”.

Anche questa temibile nemica dell’intimità, la cistite dopo rapporto, può essere risolta definitivamente con diagnosi e cure appropriate. E la passione può accendersi.

giovedì 23 settembre 2010

Visita andrologica, problemi a letto per il 30% dei maschi italiani

Non essendoci più l'obbligo del servizio militare, mentre per le ragazze è normale fare delle visite ginecologiche, i ragazzi non vengono più sottoposti a un importante appuntamento che era la visita di leva durante la quale venivano sottoposti anche ad un controllo andrologico, utile in molti casi per far luce su eventuali disturbi sessuali.
Problemi come il calo del desiderio, defaillance, eiaculazione precoce e infezioni, sono in continua crescita nei paesi occidentali, secondo i dati diffusi a Milano dalla Sia (Società Italiana di Andrologia), solo nel nostro paese quasi il trenta per cento degli uomini è colpito da almeno uno di questi disturbi. Osservando i dati si nota inoltre che circa un 18enne su due è a rischio infertilità per malattie a trasmissione sessuale o mini anomalie non diagnosticate, queste ultime in netto aumento anche a causa di un ambiente dove ormoni e pesticidi la fanno sempre più da padroni.

mercoledì 22 settembre 2010

Sport e sesso

Sport e sessualità sono compatibili? Il sesso può migliorare le prestazioni sportive o, viceversa, le danneggia? E lo sport, quanto incide sulle performances sotto le lenzuola? Si tratta di un annoso problema: il sesso coniugato allo sport continua ad attrarre l’attenzione della gente, sia quella che di sport vive, sia quella che di sport si limita a parlare, leggere o guardare. Ma come stanno realmente le cose? In questo specifico campo le ricerche si sprecano e sembra proprio che uno dei tabù più radicati, quello che vuole sport e sesso in antitesi, sia destinato a crollare definitivamente. Lo conferma il noto studio statunitense, pubblicato sulla rivista Urology, e condotto dall'urologo Drogo K.Montagne, responsabile del Center for Sexual Function alla Cleveland Clinic Foundation.
SEMPRE IN MOVIMENTO - Montagne ha dimostrato che l'esercizio fisico è una barriera contro l'impotenza per la stessa ragione per la quale previene attacchi di cuore: tre chilometri di camminata al giorno possono bastare per tenersi al riparo da qualsiasi problema erettile. Motivo? Semplice: l'esercizio aerobico contrasta la comparsa di malattie dei vasi, inclusa la formazione di placche lipidiche a livello delle arterie, occlusioni che impediscono al flusso sanguigno di irrorare a sufficienza il pene. Non siete ancora convinti? Ecco allora arrivare fresca fresca la ricerca, questa volta austriaca, presentata a Vienna a fine giugno dall’urologo Christian Kratzik. Se si bruciano almeno 4.000 chilocalorie la settimana si riducono i rischi di impotenza dell'83%. L’indagine è stata condotta su un campione di 674 uomini, di età compresa tra i 45 e i 60 anni, sottoposti ad analisi urologiche e ormonali e interrogati sulle loro attività sessuali e sportive. Gli sport più indicati quelli che migliorano la funzionalità dell'apparato cardiocircolatorio e, di conseguenza, la resistenza: dunque, jogging, marcia veloce, ciclismo, nuoto. Si tratta di sport e attività motorie che si prolungano nel tempo, almeno per 30/40 minuti, praticati a ritmi moderati, ovvero quelli che permettono di parlare con un compagno.
IL SESSO FA BENE ALLO SPORT? - Sì, ma in questo caso, occorre fare delle distinzioni tra disciplina e disciplina e tra momenti e momenti. Secondo il sessuologo francese Jacques Waynberg, il sesso è sconsigliato agli atleti di sesso maschile prima della prestazione agonistica (almeno sei ore) solo per gli sport che richiedono una particolare concentrazione o uno sforzo breve ma violento, come scherma, tiro con l'arco, getto del peso, salto in alto e in lungo, corsa veloce. Motivo? Dopo un orgasmo si abbassano i livelli di testosterone, la capacità respiratoria e la capacità di contrarre i muscoli. Decisamente più fortunati invece, i giocatori di tennis, calcio, ping-pong, per i quali l'amplesso prima della prova potrebbe, addirittura, sortire un effetto positivamente rilassante.
IL PARERE DELLA SCIENZA - D’accordo, in linea di massima, con la tesi del collega francese, Willy Pasini, professore di psichiatria alla Facoltà di Medicina di Milano e all’Università di Ginevra. Ma preferisce evitare le generalizzazioni e mettere al centro della discussione l’individuo, precisando che per alcuni atleti particolarmente apprensivi, indipendentemente dalla disciplina praticata, l'effetto rilassante e ansiolitico ottenuto dopo un rapporto sessuale é più importante, ai fini della prestazione sportiva, dello spreco energetico. Ma non è tutto. Per Pasini, gli effetti del rapporto sessuale sulla donna sono molto differenti da quelli sull'uomo. E la conferma di questa affermazione viene data da un interessante studio condotto dall'israeliano Alexander Olshanietzky che ha dimostrato come l'orgasmo femminile è, in sostanza, un doping autorizzato. Ovvero si traduce, quantomeno nell'atletica e precisamente nella velocità, in migliori performances, grazie all'aumento della concentrazione di testosterone che le donne hanno dopo un rapporto sessuale.
ATTO SESSUALE E DISPENDIO ENERGETICO - Sono ancora molti gli allenatori e preparatori atletici convinti che il rapporto sessuale comporti un eccessivo dispendio energetico e che, di conseguenza, sia contrario ad una performance sportiva ottimale, qualsiasi sia la disciplina praticata. Se è vero che l'atto sessuale è un atto atletico a tutti gli effetti, dal momento che nei 13 minuti e 50 secondi - la durata dell'amplesso medio secondo uno studio europeo - il ritmo respiratorio sale progressivamente da 14 a 40 volte al minuto, la frequenza cardiaca raggiunge le 180 pulsazioni e la pressione sanguigna supera le 200 di massima, è altrettanto vero che l'impegno fisico non è assolutamente intenso, comportando una spesa energetica contenuta tra le 150 e le 300 calorie. In pratica, quanto si consumerebbe a salire di corsa tre piani di scale. Insomma, con una buona dormita, il fisico di qualsiasi atleta, maschio o femmina, è in grado di compensare ben altro. Fare l'amore, dunque, la sera prima delle competizioni non pregiudica assolutamente le prestazioni fisiche degli atleti.
Mabel Bocchi

venerdì 10 settembre 2010

Bollicine pericolose per la fertilità

Se si bevono troppe bibite a base di cola può diminuire notevolmente la qualità del liquido seminale maschile
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LO STUDIO

Bollicine pericolose per la fertilità

Se si bevono troppe bibite a base di cola può diminuire notevolmente la qualità del liquido seminale maschile




MILANO – Un consumo di più di un litro al giorno di bibite gassate contenenti cola può danneggiare la fertilità maschile. Lo afferma uno studio molto vasto promosso dall’Università di Copenhagen.

LO STUDIO – Un campione di 2.500 giovani uomini è stato sottoposto a spermiogramma (l'analisi del liquido seminale finalizzata a valutare la qualità dello sperma), dopo l’acquisizione di informazioni circa il loro stile di vita. È emerso che un forte consumo di bevande a base di cola può far diminuire il numero medio degli spermatozoi fino al 30 per cento. Il campione è stato diviso in bevitori di cola (almeno un litro al giorno) e non bevitori: nel liquido seminale degli appartenenti al primo gruppo si è riscontrata una quantità media di 35 milioni di spermatozoi per millilitro di liquido e nello sperma degli appartenenti al secondo gruppo una ben più elevata concentrazione di 50 milioni di spermatozoi per millilitro. Importante evidenziare che lo studio non si sofferma sul ruolo della caffeina, poiché è stato dimostrato che l’impatto è meno pronunciato.

BOLLICINE MAL ACCOMPAGNATE – La qualità del liquido spermatico è risultata dunque nettamente superiore tra coloro che non consumano bollicine, ma va considerato che questi ultimi hanno dichiarato anche uno stile di vita molto più sano rispetto agli affezionati delle bevande gassate. Spesso un forte consumo di bibite di questo tipo si accompagna a un’alimentazione grassa e ad abitudini sedentarie ed è difficile quantificare il ruolo della cola nella diminuzione di fertilità, considerato che è probabile che tutti questi fattori contribuiscano a inibire la capacità fecondante.

DI CHI È LA COLPA? – Colpa della cola o delle cattivi abitudini di vita in generale? I fattori che possono alterare la funzione spermatica sono molti e tra questi bevande gassate e alimentazione sbagliata giocano sicuramente un ruolo significativo. Fabio Pasqualotto, dell’Università di Caxias do Sul in Brasile, non coinvolto nello studio, ha sottolineato che facilmente la parte del leone nella diminuzione della fertilità è da imputare a un insieme di abitudini sbagliate e ha dichiarato che probabilmente le bollicine di per sé sono il fattore minore.

Emanuela Di Pasqua