Informazioni e commenti su tematiche andrologiche e urologiche del Dott. Mario De Siati . Taranto,Foggia,Brindisi,Altamura. Cell 3396412331
lunedì 29 gennaio 2018
Vino rosso e sesso contro il tumore alla prostata
Vino rosso e sesso contro il tumore alla prostata. È questo il suggerimento che arriva dagli urologi italiani, secondo cui la prevenzione contro questo cancro così diffuso può passare (anche) per il vino e una regolare vita sessuale.
Sulla base di specifici studi scientifici pubblicati sulla rivista “International Journal of Cancer”, i medici – riuniti a Pozzuoli (Na) per il convegno “Comunicare la prevenzione – vino, prostata e sessualità”, hanno decretato l’utilità di simili elementi per il loro effetto protettivo, che sembra anche essere più forte contro le forme più aggressive della malattia.
Il tumore della prostata è uno tra i tumori più diffusi nella popolazione maschile e rappresenta circa il 15% di tutti i tumori diagnosticati nell’uomo: ogni anno si contano circa 35mila nuovi casi in Italia, ma il rischio che la malattia abbia un esito letale è poco elevato, soprattutto se si interviene in tempo con una diagnosi precoce.
A dimostrarlo sono i dati relativi proprio al numero di uomini ancora in vita dopo cinque anni dall’accertamento di tumore – in media il 91% – una percentuale tra le più elevate tra i tumori, grazie alla diagnosi precoce realizzata sempre più di frequente, da quando è stato introdotto nella pratica clinica il dosaggio del PSA.
Ebbene, bere un bicchiere di vino rosso al giorno potrebbe ridurre il rischio di sviluppare un tumore della prostata, tanto che secondo lo studio, "gli uomini che consumano quattro o più bicchieri di vino rosso alla settimana hanno un rischio di cancro della prostata ridotto del 50%. Per quanto riguarda i tipi di tumore più aggressivo, l’incidenza risulta ridotta addirittura del 60%”.
Il merito sarebbe di un antiossidante, il “resveratrolo”, che abbonda nella buccia dell’uva rossa. Il consumo moderato di vino rosso, sembra proteggere anche dai disturbi correlati all’altra patologia della prostata, la ipertrofia prostatica benigna, di cui soffre più del 50% degli uomini al di sopra dei 60 anni (incidenza che sale al 90% dopo i 70 anni).
E il sesso cosa c’entra? Sulla scia di un altro studio, si è confermata questa volta l’ipotesi che bere moderatamente vino significhi stimolare molte sensazioni e accentuare le percezioni sensoriali nel corpo umano. Ciò comporta senza dubbio una maggiore propensione all’intimità.
Un po’ di vino, insomma, aumenterebbe il piacere sessuale favorendo l’erezione dell’uomo e ritardando lievemente il riflesso eiaculatorio. “Le sostanze in esso contenute aiutano il funzionamento delle arterie favorendo l’afflusso di sangue nel membro maschile, favorendo il rilasciamento della muscolatura liscia dei corpi cavernosi, e la conseguente erezione”, dicono gli esperti.
Quel che vi dovete ricordare, in ogni caso, è che non bisogna mai esagerare con l’alcol e in genere per prevenire al meglio questo e tutti i tipi di tumore è bene regolare l’alimentazione, limitare i grassi saturi e i fritti, i formaggi e le bevande troppo zuccherate e variare con frutta, verdura e tanta acqua.
mercoledì 17 gennaio 2018
UROLOGO ANDROLOGO MARIO DE SIATI ( BARI BRINDISI FOGGIA TARANTO )
martedì 16 gennaio 2018
I pazienti con oligospermia grave e varicocele possono trarre vantaggio dalla varicocelectomia
lunedì 15 gennaio 2018
Tumore della prostata e grassi animali
Le scoperte, pubblicate oggi suNature Genetics e Nature Communications, sono dei ricercatori della Harvard University diretti dall’italiano Pier Paolo Pandolfi e dell’Institute of Oncology Research dell’università della Svizzera italiana di Bellinzona diretto da Andrea Alimonti
di AGNESE FERRARA
15 Gennaio, 2018

UN'ALIMENTAZIONE ricca di grassi di derivazione animale è in grado di attivare le metastasi e, di fatto, rendere mortale il cancro. Se la correlazione statistica fra dieta e tumori è già stata più volte dimostrata, i ricercatori del Beth Israel Deaconess Medical Center (Bidmc) della Harvard Medical School di Boston, hanno scoperto i meccanismi molecolari con cui le cellule del cancro alla prostata avviano il processo di metastasi, ovvero si diffondono in altre parti del corpo. Identificati questi processi indotti dai grassi sono anche riusciti a bloccarli somministrando dei farmaci allo studio per combattere l’obesità. Per la prima volta quindi si riesce a intervenire sulla proliferazione tumorale. La scoperta è frutto di due ricerche pubblicate oggi su Nature Genetics e Nature Communications, e punta il dito sull’ambiente come fattore chiave in grado di interagire direttamente sui tumori rendendoli più aggressivi, oltre ai fattori genetici. Sempre su Nature Genetics di oggi un’altra indagine, condotta all’ Institute of Oncology Research dell’università della Svizzera italiana di Bellinzona conferma l’importanza dei grassi nello sviluppo del tumore alla prostata aggiungendo un ulteriore tassello alla scoperta.
“Il tumore alla prostata viene detto indolente da noi ricercatori perché cresce piano restando latente - spiega Pier Paolo Pandolfi, direttore del Cancer Center Institute al Bidmc, che ha diretto le scoperte - . La sua mortalità è calata del 40% negli Stati Uniti in questi ultimi 25 anni ma, se avvia le metastasi, diventa inevitabilmente fatale e la correlazione con il tipo di alimentazione era già stata ipotizzata tanto che la diffusione di questo tumore è molto più elevata negli Stati Uniti che in altre nazioni dove si assumono meno grassi di derivazione animale, come nei paesi asiatici, tipo il Giappone, dove l’incidenza è di circa il 10%. Quando però gli asiatici si trasferiscono negli Stati Uniti l’incidenza cresce al 40% avvicinandosi a quella di chi nasce qui”.
ARCHIVIO Il tumore alla prostata
Pandolfi precisa: “Sapevamo che il gene soppressore PTEN svolgeva un ruolo importante nella prevenzione del cancro alla prostata. La sua perdita parziale di attività infatti si riscontra nel 70% dei casi e, quando si perde del tutto, partono le metastasi ma le nostre osservazioni di laboratorio ci indicavano che non bastava l’assenza di questo gene a innescarle. Così abbiamo cercato di identificare altri geni coinvolti nel processo e abbiamo notato che un altro soppressore del tumore, il PML, tendeva ad essere presente nei tumori localizzati e non più in quelli già diffusi. Abbiamo visto che nel 20% dei tumori con metastasi erano carenti sia il gene soppressore PTEN che il PML. Abbiamo generato tumori senza PTEN a quelli senza PTEN e PML, questi ultimi erano molto più aggressivi e metastatizzavano. Inoltre abbiamo scoperto che le cellule senza PTEN e PML producono da sole grandi quantità di lipidi. Dunque, ci siamo detti, il grasso nei tumori senza PTEN e PML potrebbe essere alla base delle metastasi ed è sul ruolo del grasso nel favorire le metastasi che abbiamo concentrato le nostre ricerche”.
Gli scienziati avevano ancora un nodo da sciogliere: come mai nei topi di laboratorio il tumore alla prostata produce metastasi molto raramente? Da qui l’intuizione: se fosse l’alimentazione dei topi a proteggerli dall’aggressività del tumore? Afferma Pandolfi: “Ci siamo resi conto che i topolini di laboratorio mangiano essenzialmente vegetali. E’ una dieta quasi vegana di sicuro piu’ vicina alla dieta asiatica che alla “dieta McDonald’s”. Abbiamo quindi provato a introdurre nella loro dieta i grassi animali e, per la prima volta, sono comparse le metastasi anche in quei tumori indolenti, non metastatici, in cui manca la sola funzione del gene PTEN”.
Una volta ottenuto un modello di ricerca e individuati i meccanismi molecolari alla base del processo che avvia le metastasi gli scienziati hanno somministrato ai topi un farmaco attualmente in fase di studio per il trattamento dell’obesità, le fatostatine, che bloccano la sintesi dei grassi. Sorprendentemente, la molecola ha causato una profonda regressione del tumore così come la completa soppressione delle metastasi. “Alcuni dei farmaci anti-obesità, fatostatine o analoghi, agiscono bloccando la produzione dei lipidi, - precisa Pandolfi. – “Sono sostanze molto ben tollerate e stiamo organizzando ora i trials clinici sull’uomo”.
I ricercatori stanno anche cercando di capire quali siano nel dettaglio i lipidi cattivi che aumentano l’aggressività dei tumori, ma anche se ci siano lipidi buoni che possano avere un ruolo protettivo nella prevenzione dei tumori e nel bloccarne la loro progressione.
Sulla produzione esagerata di grasso da parte delle cellule metastatiche si sono concentrati anche i ricercatori dell’Institute of Oncology Research dell’università della Svizzera italiana diretti da Andrea Alimonti con una indagine pubblicata sempre su Nature Genetics di oggi. Il team svizzero, insieme a ricercatori spagnoli ed inglesi, ha scoperto infatti che anche mitocondri, che riforniscono di energia le cellule del tumore alla prostata, hanno bisogno soprattutto di grassi più che di glucosio, cioè zuccheri come si è creduto fino ad oggi. “Il metabolismo dei lipidi funziona da benzina per sostenere la macchina tumorale, - spiega Andrea Alimonti, - inibendo l’enzima mitocondriale PDC nelle cellule tumorali, il contenuto di lipidi cala drasticamente e le cellule maligne non proliferano più. Abbiamo perciò individuato una serie di molecole in grado di bloccare selettivamente questo enzima senza danneggiare le cellule normali i diversi modelli sperimentali”. La scienza si concentra adesso su come affamare i tumori, levando loro la fonte primaria dell’energia e dello sviluppo, cioè i ‘grassi cattivi’.



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Ibuprofene: può causare infertilità nei giovani maschi
http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=57728
Si tratta di un allarme importante, visto il numero di soggetti potenzialmente interessati, che arriva da uno studio internazionale pubblicato su PNAS. L’ibuprofene, uno degli analgesici più consumati al mondo, può provocare uno stato di ipogonadismo compensato nei giovani maschi. In pratica, il farmaco andrebbe ad inibire l’attività endocrina del testicolo, provocando un calo del testosterone che l’organismo cerca di compensare aumentando la produzione dell’ormone ipofisario LH. Questa condizione, osservata finora solo nell’anziano, può provocare disturbi a livello fisico (depressione, aumentato rischio di ictus e scompenso cardiaco) e riproduttivo anche nei giovani.09 GEN - È uno degli analgesici più utilizzati al mondo, uno di quei farmaci di cui spesso di fa anche un incredibile abuso (in diversi Paesi è disponibile anche come OTC). Le possibili conseguenze negative sulla mucosa gastrica e quelli di aumento del rischio di ictus o di infarto, comuni a tutti i FANS sono ben note. Ma adesso, uno studio appena pubblicato su PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America), getta luce su un nuovo possibile effetto indesiderato, che riguarda i giovani maschi.
I risultati di questo studio internazionale (vi hanno contribuito ricercatori di università danesi, francesi e cinesi) suggeriscono che l’assunzione di ibuprofene si può associare ad alterazioni della salute riproduttiva nell’uomo, in particolare nei giovani maschi. Tale fenomeno sarebbe imputabile agli effetti anti-androgeni degli analgesici. A questa conclusione gli autori dello studio sono giunti con una combinazione di trial clinici controllati, condotti con approccio sia ex vivo che in vitro.
Si tratta di uno studio importante sia perché attira l’attenzione su un effetto indesiderato dei FANS finora poco conosciuto, sia perché che riguarda potenzialmente un enorme numero di persone. Questo lavoro fornisce inoltre una spiegazione, almeno parziale, del crescente fenomeno dei disturbi riproduttivi maschili che affligge il mondo occidentale e che risulta ancora in gran parte inspiegabile.
Erma Z. Drobnis, professoressa di medicina riproduttiva e fertilità presso la University of Missouri (Columbia, USA), intervistata dalla CNN per un commento su questo studio ricorda che è ormai noto come alcuni farmaci abbiano un effetto negativo sull’apparato riproduttivo maschile (testosterone, oppioidi, antidepressivi, antipsicotici, immuno-modulatori, cimetidina) ma che raramente i medici ‘ricordano’ di far cenno a questi effetti indesiderati. I potenziali padri insomma dovrebbero evitare di assumere acetaminofene, cimetidina e adesso anche ibuprofene, secondo l’esperta.
Studi condotti in passato hanno dimostrato che l’esposizione durante la vita fetale ad analgesici deboli (aspirina, acetaminofene, ibuprofene) si associa ad effetti anti-androgenici e a malformazioni congenite; finora non erano noti però gli effetti di questi anti-dolorifici da banco nell’adulto.
Lo studio si PNAS in dettaglio
In questo lavoro pubblicato su PNAS gli autori hanno dimostrato che la somministrazione di ibuprofene a giovani maschi provoca uno stato di ‘ipogonadismo compensato’, condizione frequente nell’anziano e foriera di disturbi sia fisici che della sfera riproduttiva.
L’ibuprofene viene spesso somministrato agli atleti (compresi quelli olimpici e i giocatori di calcio) prima di un evento per prevenire i dolori. Per questo i ricercatori hanno voluto indagare se questa prassi, ormai consolidata, potesse provocare delle conseguenze ai soggetti che fanno uso abituale di questi farmaci. A tale scopo hanno arruolato 31 maschi (volontari) di età compresa tra i 18 e i 35 anni; a 14 di loro è stata somministrata una dose di 600 mg di ibuprofene due volte al giorno (quella normalmente assunta dagli atleti, nonché il massimo dosaggio raccomandato nel foglietto illustrativo del farmaco) per due settimane; gli altri 17 soggetti fungevano da gruppo di controllo.
Al termine di questo periodo, i livelli dell’ormone ipofisario LH (ormone luteinizzante) e di ibuprofene sono risultati correlati, mentre parallelamente è risultato diminuito il rapporto testosterone/LH (segno di una disfunzione testicolare). Queste alterazioni ormonali descrivono appunto la condizione di ipogonadismo compensato che, oltre a determinare disturbi della sfera riproduttiva può provocare depressione ed esporre ad un aumentato rischio di scompenso cardiaco e ictus.
In una seconda parte dello studio gli autori hanno utilizzato degli espianti di testicolo adulto che sono stati esposti o meno all’ibuprofene; in questo modo è stato possibile dimostrare che l’esposizione all’ibuprofene riduce l’attività endocrina delle cellule di Sertoli e di Leydig del testicolo; la produzione di testosterone risulta ridotta attraverso la repressione trascrizionale. Lo stesso effetto è stato osservato in una linea cellulare steroidogenica umana.
Maria Rita Montebellihttp://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=57728www.quotidianosanita.itibuprofene infertilità
Urologo e Andrologo
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domenica 14 gennaio 2018
Tumore della prostata
http://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/18_gennaio_10/prostata-diagnosi-tumore-in-ritardo-uomini-382273a6-f5f7-11e7-82b7-0cdcf91b6725.shtml?refresh_ce-cp
Prostata: diagnosi di tumore «in ritardo» negli uomini
Un’indagine mette in luce i problemi inglesi: per accertare il cancro alla prostata serve il quadruplo del tempo rispetto a quello del seno. In Italia uomini meno attenti alla prevenzione Le donne con un sospetto di tumore al seno impiegano 14 giorni per avere una diagnosi certa e, quindi, poter iniziare le terapie, mentre per gli uomini con i sintomi di un cancro alla prostata ne servono 56. Il quadruplo. A mettere in luce il problema in Gran Bretagna è uno studio da poco pubblicato sul British Journal of General Practice che, secondo gli esperti del Regno Unito, spiegherebbe perché la sopravvivenza per il tumore più diffuso nel sesso maschile è più bassa fra gli inglesi rispetto a quella di molti altri Paesi occidentali.
Arrivare presto
«Sappiamo ormai per certo che una diagnosi precoce è fondamentale per avere maggiori probabilità di guarire dal cancro – ricorda Paolo Veronesi, presidente di Fondazione Umberto Veronesi, che da alcuni anni ha lanciato il progetto SAM dedicato alla promozione della Salute al Maschile -: se la malattia è agli esordi, ancora di piccole dimensioni e senza metastasi, possiamo intervenire in modo meno invasivo con la chirurgia. Quando non si è diffusa ad altri organi, può bastare anche solo l’operazione. E, in ogni, caso più iniziale è lo stadio del tumore, più alte sono le possibilità di curarlo con successo, guarire o comunque conviverci per molti anni».
Problemi urinari
Per questo è molto importante non trascurare le possibili avvisaglie della presenza di un disturbo alla prostata: «Pur non esistendo dei sintomi caratteristici del carcinoma della prostata all’esordio, non bisogna ignorare la comparsa di vari problemi urinari quali - spiega Roberta Gunelli, vice presidente di AURO.it Associazione Urologi Italiani e direttore dell’Urologia dell’Ospedale Morgagni-Pierantoni di Forlì -: difficoltà a iniziare la minzione, flusso urinario debole, necessità di “spingere” durante la minzione, incompleto svuotamento della vescica, elevata frequenza delle minzioni, urgenza di svuotare la vescica e presenza di minzioni notturne. Sono sintomi che si accompagnano all’ipertrofia prostatica benigna, molto comune nei maschi dopo i 50 anni e che quindi non devono allarmare, ma che non devono essere sottovalutati e ignorati. Basta parlarne con il medico di famiglia che valuterà se è necessaria la visita con lo specialista urologo facendola precedere da eventuali esami. Questa semplice attenzione potrà essere la prevenzione migliore del carcinoma prostatico consentendo una diagnosi precoce e tempestiva».Sopravvivenza all’88,6%
Secondo il recente report britannico, un quinto dei pazienti inglesi va incontro a ritardi che sarebbero evitabili se il sistema sanitario del Paese funzionasse in modo più adeguato: «Grazie allo screening di routine con mammografia il 75 per cento delle donne riceve la diagnosi di cancro al seno entro 19 giorni – sottolinea Helen Stokes-Lampard, a capo del Royal College dei Medici di Famiglia -. Mentre il tumore prostata risulta tra i più «lenti»: se la media è di 56 giorni, oltre un quarto dei malati ne aspetta ben 126. Bisogna migliorare l’accesso dei medici inglesi agli strumenti diagnostici più moderni e svecchiare i macchinari in molti ospedali. E poi bisogna sollecitare l’attenzione degli uomini, proprio come è stato fatto fin dagli anni Settanta con tante campagne di prevenzione per cancro al seno».Il tumore della prostata è la neoplasia più frequente tra i maschi a partire dai 50 anni di età e nel 2017 sono state circa 35mila nel nuove diagnosi in Italia.«Negli ultimi 20 anni la sopravvivenza dei pazienti nel nostro Paese è costantemente migliorata – dice Riccardo Valdagni, direttore del Programma Prostata all’Istituto Nazionale Tumori (Int) di Milano - e oggi, a 5 anni dalla diagnosi di carcinoma, è vivo l’88,6 per cento degli uomini». Una percentuale molto vicina a quella delle donne italiane con cancro al seno.
Prevenire l’impotenza
Certo è che anche in Italia gli uomini, di tutte le età, sono meno attenti alla loro salute: «Secondo le statistiche, 8 uomini su dieci non sono mai andati dall’urologo – aggiunge Paolo Veronesi -. D’abitudine i maschi si trascurano, tendono ad andare dal medico solo quando il problema è diventato intollerabile e sono restii ai controlli. Uno degli obiettivi del progetto SAM è invece proprio spiegare l’importanza della prevenzione e delle visite periodiche agli uomini, fin dall’adolescenza».«Diversi studi hanno dimostrato in anni recenti che il test del Psa non è adatto come controllo “di massa” cui sottoporre periodicamente tutti i maschi sani da una certa età in poi – conclude Valdagni -. È utile invece per i soggetti a rischio, quelli che hanno una familiarità positiva per carcinoma della prostata e che dovrebbero eseguire il test almeno una volta tra i 40 e i 45 anni: sulla base del risultato si possono poi disegnare le strategie dei controlli e la loro frequenza. E, in ogni caso, gli uomini vanno informati bene prima e dopo aver fatto questo esame: molti casi di cancro alla prostata non aggressivi, infatti, non andrebbero trattati . Se la malattia è a basso rischio la sorveglianza attiva può essere l’opzione migliore, per tenere sotto controllo la malattia in caso progredisca, evitando impotenza e incontinenza ai pazienti».